VENEZIA 70 – “Stray Dogs”, di Tsai Ming-liang (Concorso)

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Tsai Ming-liang fa del suo cane randagio, Lee Kang-sheng il punto fisso intorno a cui passa tutto il suo cinema e, quindi, tutte le donne con cui ha avuto a che fare, da Yang Kuei-mei a Chen Shiang-chyi, da Vive l’amour a Visage… Eppur quel punto, nella realtà fantascientifica delle cose, si muove

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stray dogsMa davvero il cinema si è fermato? Tutte le pulsioni e tutti i movimenti si sono condensati o congelati fino all’immagine fissa, al blocco totale del tempo, della storia, della vita? Forse l’arresto del cinema risponde all’arresto del mondo, che si è scoperto immobile dopo gli infiniti giri intorno al raccordo anulare del sole, quegli anelli di saturno che circondano le città della terra da Roma a Taipei…

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Tsai Ming-liang non è poi così lontano da Gianfranco Rosi. Guardano entrambi a quello spazio ambiguo e abissale che c’è tra la realtà e la fantascienza, quell’infinita incognita che passa tra l’uniformità inarrestabile del flusso e la variabile sconosciuta del movimento delle singole molecole. Non sappiamo mai dove siamo, a quale altezza (o bassezza). Cambia la posizione e il punto di vista, certo. Ed è difficile stabilire se Tsai guardi dal centro, da una prospettiva fissa o si muova, invece, alla stessa velocità del vortice, fino a farlo sembrare nullo… Ma fatto sta che, qualsiasi destino o rotazione astronomica si scelga di assecondare, appare ancora paradossale il suo annuncio di voler lasciare il cinema. Come se davvero si sentisse troppo costretto dalla forza centripeta di questo misterioso punto di gravitazione, The Hole, e desiderasse smarrirsi alla deriva di un altro spazio-tempo, finalmente senza più Gravity, senza fuoco o prospettiva. Eppure non riusciamo proprio a immaginare un Lee Kang-sheng fermo per sempre, definitivamente. Non muoversi più neanche al passo lentissimo ed estenuante del walker… Certo, sembra davvero condannato alla fissità: uomo sandwich, uomo cartello pubblicitario, uomo oggetto, cosa inerte, immobile. Forse perfetta come un diamond sutra. Ma non possiamo fare a meno di meno di pensare che sia tutta un’illusione ottica, che confonde il centro e la circonferenza di questo mandala perpetuo.

 

stray dogsTsai Ming-liang fa del suo cane randagio il punto fisso intorno a cui passa tutto il suo cinema e, quindi, tutte le donne con cui ha avuto a che fare, da Yang Kuei-mei a Chen Shiang-chyi, da Vive l’amour a Visage… Eppur quel punto, nella realtà fantascientifica delle cose, si muove. Mangia una coscia di pollo, divora un cavolo che dorme nel suo letto. Piange e beve. Russa e il ritmo del suo respiro strozzato vuol dir qualcosa. Si muove tra le macerie di un mondo incontrato al termine della spirale del tempo, dove presente e passato non si distinguono più. Ma se quel punto all’apparenza fisso dà segni di vita, probabilmente la fine non è definitiva. Forse non c’è da preoccuparsi se gli uomini diventano oggetti e le linee di un vestito si cancellano contro le rughe di una parete. Perché anche i muri si ammalano e invecchiano come gli uomini. Hanno una vita e un’anima, al pari delle persone. Sono soli e abbandonati, come le persone. Ogni cosa, ogni costruzione, l’universo intero è umano. Tutto racconta storie. Prima splendori e poi miserie. Ma comunque storie e sentimenti. E nei buchi, tra gli anfratti nascosti del mondo (e del set) entrano i fantasmi. Entra il cinema. L’architettura, la geometria solida piange e suda, diventa acqua. E un freddo supermercato diventa un gioco di riflessi, di immagini che si nascondono, per poi svelare un’altra immagine segreta oltre le apparenze, dalle superfici, oltre le superfici.

Quanto dura il film? Quanto è lunga ogni inquadratura e ogni scena? Qual è la storia, cos’è la cronologia? Potremmo anche affidarci all’indicazione dell’orologio, regolare i cronometri… ma tutto dipende a quale andatura decidiamo di far muovere gli occhi e il cuore, da quale uscita desideriamo prendere per entrare o uscire dal raccordo, da questo capolavoro che, a quanto ci dicono, è la fine di un lavoro. Entrare e uscire da capo, dal cinema. Potremmo anche non veder più film, ma ormai il cinema ci è entrato dentro, al punto da farsi ritrovare in un disegno, in un’immagine fissa, in due gocce che cadono in un tempo incalcolabile. Al punto da commuoverci e farci immaginare, oltre questo tempo, tanti futuri possibili.

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