VENEZIA 71 – Burying the Ex, di Joe Dante (Fuori concorso)

anton yelchin in burying the ex

Ci voleva la mano sapiente di Joe Dante per tornare a respirare aria di vita, in questo festival così sovrappopolato di lutti, malattie e tragedie; una black comedy sulla morte che si rivela una delle opere più sorprendentemente fresche dell’intera selezione, nonostante il contesto macabro. Ma Burying the Ex non è un horror: piuttosto, un film sull’horror e con l’horror, che non si ferma al citazionismo ma trasforma tutto il proprio immaginario in motore narrativo.

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anton yelchin in burying the ex

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Max e Evelyn sono fidanzati, e stanno per andare a vivere insieme. Lui lavora in un negozio di oggettistica horror, lei è un’attivista vegana: le loro vite hanno pochi punti in comune, e infatti l’incontro con Olivia, ragazza con gli stessi gusti di Max, rischierà di compromettere la serenità della coppia. Quando Evelyn muore investita da un autobus, lui e Olivia avranno la possibilità di costruire insieme un rapporto nuovo; la ex però ritorna in vita sotto forma di zombie, e non sembra per nulla intenzionata a lasciare andare il ragazzo…

Ci voleva la mano sapiente di Joe Dante per tornare a respirare aria di vita, in questo festival così sovrappopolato di lutti, malattie e tragedie; una black comedy sulla morte che si rivela una delle opere più sorprendentemente fresche dell’intera selezione, tanta e tale è la vitalità che sprigiona ad ogni inquadratura, ad ogni passaggio, nonostante il tema trattato la avvicini inevitabilmente all’horror e al fantastico.

Da una sceneggiatura lineare e neppure particolarmente originale (viene in mente il bel Zombie Honeymoon, ad esempio, ma non solo), Dante ne approfitta per (ri)mettere in scena tutto il proprio arsenale registico, lavorando su un immaginario che si fa, immediatamente e sorprendentemente, cinema. La notte che Evelyn uscì dalla tomba: Burying the Ex è quindi l’occasione per tornare sul passato di un genere, certo, grazie alla sua componente squisitamente analogica (i getti di vomito in faccia, il make-up), ma sarebbe tristemente riduttivo pensare al film solamente come a un omaggio all’horror che fu. C'è il citazionismo a piene mani, è vero, ma quello ormai lo si trova ovunque, e certamente da Dante non ci aspettiamo una conoscenza dell’argomento inferiore a chiunque altro: come in Amore all’ultimo morso di John Landis, il cuore dell’operazione risiede invece nel trasformare questo materiale in motore narrativo, dal momento che i luoghi e le situazioni sono dati dal cinema stesso, con i suoi spezzoni in tv, le locandine appese alle pareti (da Terrore nello spazio a Il pozzo e il pendolo, passando per Renato Rascel) e i libri in bella mostra sugli scaffali (tra i quali spicca il monumentale All the Colors of the Dark di Tim Lucas, su Mario Bava).

anton yelchin e alexandra daddario in burying the exMario Bava, già: altro nume tutelare del regista americano, che qui ritorna anche in un breve estratto da La frusta e il corpo, come a voler dare il proprio beneplacito al significato dell’insieme. E poi, senza soluzione di continuità (ma in maniera coerente con il susseguirsi degli eventi, quasi a voler anticipare o accompagnare lo svolgimento del film): Plan 9 from Outer Space di Edward D. Wood Jr., Val Lewton, Herschell Gordon Lewis, i film della Hammer e così via. 

In Burying the Ex si va a vedere La notte dei morti viventi nel cimitero hollywoodiano delle star, ci si incontra (e ci si innamora) davanti alla lapide di Joey Ramone, e quando si muore non lo si fa mai veramente, perché qui ci si può permettere il lusso di considerare la morte come qualcosa che non esiste. Come il negozio in cui lavora il protagonista, l’horror è – per chi lo ama – un rifugio placido e tranquillo durante la tempesta del mondo vero, quello esteriore; i suoi orrori di plastica e make up sono la dimensione familiare e lieta che accompagnano lo spettatore nel corso della sua vita, e il film di Joe Dante è appunto questo.

Burying the Ex non è un horror, ma un film sull’horror e con l'horror che – fortunatamente – non ha nessun interesse di trasformarsi in metacinema. La dimostrazione che il genere è vivo, esiste e nonostante tutto gode ancora di ottima salute: in tempi in cui la figura del morto vivente ha invaso non solamente il cinema, ma anche i fumetti, i videogiochi e le serie tv, perdendo inevitabilmente gran parte della propria portata sociale e politica, Joe Dante ne celebra l’indiscussa vitalità con un entusiasmo incredibilmente giovanile. E l'ombra di Roger Corman è ancora lì, senza nessuna intenzione di andare via…

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