VENEZIA 71 – Cymbeline, di Michael Almereyda (Orizzonti)

cymbeline

Il regista, restando fedele al testo di partenza, fa recitare agli attori i versi originali spostando il tempo della vicenda all’epoca attuale. Nonostante le premesse pop e avanguardiste (evidente il richiamo a Baz Luhrmann), Cymbeline riesce sin troppo bene a fondere l’iconografia del presente con la poesia del passato, al punto da non risultare mai folgorante

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cymbelineL’adattamento cinematografico è un’operazione difficile. Se poi siamo di fronte a Shakespeare i rischi aumentano, sia per la ricchezza di significati troppo spesso banalizzati, sia per un’evidente distanza storica che richiede, in alcuni casi, uno sforzo creativo.
Il regista e sceneggiatore statunitense Almereyda, memore della sua esperienza passata con Hamlet 2000, ambientato nella New York contemporanea con tanto di videocamera a immortalare il monologo esistenziale del protagonista (Ethan Hawke), dopo quattordici anni torna a rivisitare un’altra opera del Bardo poco conosciuta e non certo tra le più fortunate della sua carriera, il Cimbelino. Al centro della storia ci sono le vicende sentimentali di Imogene, figlia del re di Britannia, e Postumo, un giovane di umili origini. Il loro matrimonio è contrastato dal padre della ragazza, che la costringe a divorziare scegliendo un altro pretendente, e dal meschino Iachimo, che mette alla prova la fedeltà della moglie di Postumo, alimentando vecchi rancori politici e familiari.

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L’onore e la vendetta, l’innocenza e la gelosia, costituiscono il fertile terreno su cui si snodano gli eventi che alternano, su un registro tragicomico, la Storia con il privato. Almereyda, restando fedele al testo di partenza, fa recitare agli attori i versi originali spostando il tempo della vicenda all’epoca attuale: non più l’Impero Romano ma Rome, una città americana moderna dove gang di motociclisti e poliziotti corrotti sono in lotta per affermare la propria indipendenza. All’interno di quest’anarchico macrocosmo, che eleva la violenza a ragione suprema, troviamo la rappresentazione di una famiglia disfunzionale, descritta nelle sue relazioni archetipiche (un padre vedovo, una matrigna cattiva e una prole mista). La tecnologia, qui sfacciatamente esibita fino a trasformarsi in una pubblicità ridondante di una nota azienda informatica, diventa il motore dell’azione rimarcando l’(anti)evoluzione del genere umano che sembra ormai schiavizzato da pc, tablet e smartphone.

Nonostante le premesse pop e avanguardiste (evidente il richiamo a Baz Luhrmann), Cymbeline riesce sin troppo bene a fondere l’iconografia del presente con la poesia del passato, al punto da non risultare mai folgorante. La recitazione realistica e naturale degli attori (Ethan Hawke, Dakota Johnson, Milla Jovovich e Ed Harris) echeggia in un mondo privo di eccessi affidando a Shakespeare l’unica nota di follia. Fear no more.

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