VENEZIA 71 – Heaven Knows What, di Ben e Josh Safdie (Orizzonti)

Spesso associati al mumblecore, ai Safdie questa etichetta è sempre stata stretta, e con Heaven Knows What ne sfondano definitivamente i confini. Nell’abbandonarsi a questi occhi, che hanno baciato mille marciapiedi, si consuma a velocità folle la storia di una vita che non vuole essere vissuta, ma che ha amato fuor di sé tutto il nulla che l’altro incarna.

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Heaven Knows WhatNaso tagliato dal freddo, mani congelate che si riscaldano solo con il sangue fresco dei polsi appena tagliati. Le mani dominano le prime inquadrature tremolanti. Dita consumate e già stanche, ma che non possono fare a meno di rincorrersi, graffiarsi, stringersi. È amore la parola scavata da queste unghie consumate.

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Lo slittamento di significato, dall’originale titolo del libro Mad Love in New York City, da cui il film è tratto, a quello scelto dai fratelli Safdie, Heaven Knows What, sembra coprire quella zona grigia che permea il film e ne costituisce la forza indicibile. Non vi è significato, non vi è ragione che giustifichi la bestialità innamorata dei protagonisti, randagi senza direzione, vestiti di morsi in faccia e tagli ai polsi. In più scene, la musica sovrasta e si sostituisce alla loro voce, in una resa momentanea della parola al Gesto, di cui i Safdie sono profondamente innamorati.

 

Ronald Bronstein, nel 2007, dirige il suo unico lungometraggio, Frownland, che getta e brucia le basi di ciò che sarà poi definito mumblecore, diventando un riferimento per numerose nuove leve del cinema indipendente americano (da Andrew Bujalski a Lena Dunham, passando per i fratelli Duplass). Nel 2009, recitando nel piccolo immenso capolavoro dei fratelli Safdie Daddy Longlegs, Bronstein inizia un sodalizio artistico che si compie anche con Heavens Knows What, dove divide con i fratelli il montaggio e la sceneggiatura, e il tocco di questo artista poliedrico è fondamentale per l’assoluta riuscita del film.

Spesso associati al mumblecore, ai Safdie questa etichetta è sempre stata stretta, e con Heaven Knows What ne sfondano definitivamente i confini. I mormorii incomprensibili sono presto sostituiti dalle urla straziate di chi implora un’altra dose, di chi si dichiara amore e morte nella stessa frase, di chi ha bisogno di sanguinare per ricordarsi di essere vivo. Con incredibile polso registico, i due fratelli adottano fin da subito l’irrequieta camera a mano che morde il viso dei personaggi, per poi passare a uno stile ben più asciutto, che dosa con cura distanze e mobilità, dimostrando di saper tenere a bada, se necessario, la forza viscerale che emerge dagli attori, perfetti in ogni movimento sbilenco e ogni bacio tradotto in morso. Tra di loro, svetta il viso grigio e indecifrabile di Caleb Landry Jones, e i suoi occhi. Occhi sempre socchiusi, di chi ha già visto finire il mondo. Occhi che a volte l’inquadratura non riesce a seguire, occhi di puledro, consapevole di essere troppo bello e troppo forte per essere domato.

 

Nell’abbandonarsi a questi occhi, che hanno baciato mille marciapiedi, si consuma a velocità folle la storia di una vita che non vuole essere vissuta, ma che ha amato fuor di sé tutto il nulla che l’altro incarna. Il cielo è un tetto di cartone che brucia. Only lovers left to die.

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