VENEZIA 71 – Metamorphoses, di Christophe Honoré (Giornate degli autori)

Metamorphoses, Christophe Honoré
Honoré guarda al cinema di poesia degli anni Sessanta. Lavora sul  testo classico, ispirandosi evidentemente al Pasolini a colori di Edipo Re, Medea, Il Decameron. Il fine ultimo è unire la metafora del racconto con la simbologia di un'immagine che torna a legarsi visceralmente alla raffigurazione dei corpi e al loro contatto

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Ambizioso e irregolare quest'ultimo Christophe Honoré. Non poteva essere diversamente visto che dal musical di Les bien-aimes l'autore di La belle personne è passato ad adattare un classico delle letteratura latina, Le metamorfosi di Ovidio. Nel mezzo tra i due titoli c'è  stata una lunga parentesi teatrale che deve aver avvicinato il regista francese a una riflessione complessa sulla parola, il racconto (qui assolutamente protagonista), la costruzione fisica della messa in scena. Metamorphoses contestualizza in una contemporaneità indifinibile, periferica e correttamente mediterranea gli incontri mitologici di Europa, una studentessa appena adolescente a cui viene affidato il compito della testimonianza. L'opera si divide in tre capitoli: Europa e Giove, Europa e Bacco, Europa e Orfeo.

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In un continuo passaggio tra la fedeltà filologica, l'invenzione figurativa e velati riferimenti al mondo di oggi Honoré parla di sessualità, memoria, autodistruzione, violenza, filtrandoli attravverso una lente che vede nell'amore uno stato dell'essere irrimediabilmentte legato al dolore e alla morte. Guarda al cinema di poesia degli anni Sessanta. Lavora sul  testo classico, ispirandosi evidentemente al Pasolini a colori di Edipo Re, Medea, Il Decameron. Il fine ultimo è unire la metafora del racconto con la simbologia di un'immagine che torna a legarsi visceralmente alla raffigurazione dei corpi e al loro contatto. Il risultato è diseguale. Honoré continua a essere a modo suo un outsider, un cineasta personale e imprevedibile, ma in questa sua rilettura moderna di Ovidio rischia di innamorarsi troppo del suo sguardo e di un impulso progettuale legato a una autorialità almeno in questo caso pericolosamente accademica e in parte anacronistica. Forse è un'opera troppo pensata, anche nei suoi eccessi, che riesce a liberarsi soprattutto in certe sospensioni, quando il suo filmare cattura momenti di vita al tempo presente, quasi esterni all'immortalità epica del testo di riferimento.

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