VENEZIA 71 – The Cut, di Fatih Akin (Concorso)

The Cut Tahar Rahim

Terzo capitolo della “personale” trilogia di Fatih Akin su Amore (La sposa turca), Morte (Ai confini del Paradiso), Diavolo (eccoci all'attesissimo The Cut), questo è forse il progetto più sentito e rischioso del giovane regista turco-tedesco. Un cinema ultraconsapevole, terribilmente controllato nella forma e pre-visto da una scrittura blindata che toglie respiro alle azioni e reazioni restituendoci solo il “perfetto” e sterile bozzetto di contorno

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The Cut Tahar RahimTerzo capitolo della “personale” trilogia di Fatih Akin su Amore (La sposa turca), Morte (Ai confini del Paradiso), Diavolo (eccoci all'attesissimo The Cut), questo è forse il progetto più sentito e rischioso del giovane regista turco-tedesco. Film che conferma e, se possibile, decuplica le perplessità che il suo cinema ha da sempre prodotto. Un cinema ultraconsapevole, terribilmente controllato nella forma (qui in verità meno arzigogolata del solito) e blindato in una scrittura che toglie programmaticamente respiro alle azioni-e-reazioni in scena lasciando solo il “perfetto” bozzetto di contorno. E sia chiaro: qui non si mette minimamente in dubbio la sincerità dell'operazione o l'aderenza passionale del cineasta, semmai la sua capacità di configurare questo densissimo grumo storico e passionale sullo schermo. Restituendolo in Cinema.

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In The Cut ci troviamo nel sud est della Turchia, intorno al 1915, in contemporanea all’infuriare della Prima Guerra Mondiale in Europa. Se ne avvertono potenti i pericolosi echi mentre inizia a delinearsi uno dei genocidi più barbari e nascosti del secolo scorso: quello perpetrato ai danni del popolo armeno dagli ottomani. Il protagonista Nazaret (Tahar Rahir) è un padre strappato brutalmente alle sue due figlie, che inizierà la sua piccola odissea privata attraversando l'abisale buio della Storia: deportazioni, campi di lavoro, massacri e poi la fine della guerra in Europa, la povertà, i viaggi intecontinentali per ricongiungersi alle due gemelline ormai cresciute. Ecco: Akin dimostra un'indubbia capacità di storyteller e orchestra un grosso dramma storico che strizzando l’occhio ad una caterva di generi hollywoodiani codificatissimi (il war movie, il western, il film biblico, il melodramma epico, ecc) viaggia ad un ritmo sostenutissimo.


The Cut, Fatih AkinMa è proprio a questo punto che vien da domandarsi: è tutto qui il suo cinema? Si riduce solo a questo? Solo ad un'abile narrazione in minore che smarrisce sin da subito ogni afflato emotivo sull'altare delle superfici? Insomma: il deserto da attraversare è troppo “set” per apparire doloroso, e nel contempo troppo poco inquadrato per configurare la perdita di un anima in pena. E ancora: il peregrinare attraverso il mondo e le culture è continuamente “castrato” da secchi cut di montaggio che evitano accuratamente di restituirci il tra, il viaggio, azzerando in incomprensiili ellissi il tempo cinematografico dell'attraversamento degli spazi (il deserto, il mare, poi la neve: meravigliosi set letteralmente sprecati dalla furia “narrativa” di Akin che li considera come frettolosissimi accessori); infine la scelta assurda di girare questa storia intimamente connessa all'identità culturale di un popolo utilizzando un fastidioso inglese che forza gli attori ad un pesante accento smorzandone non poco le capacità recitative. Insomma la parabola epica di Nazaret sembra veramente passare liscia come l’olio per noi spettatori, priva di qualsiasi residuo perturbante che ci accompagni fuori dalla sala. Cosa alquanto grave per un film che racconta una delle pagine più nere della storia recente.

L’immagine-in-movimento “è come il diavolo!” urla una scioccata anziana signora scappando da un'arena all'aperto che proietta Il Monello di Chaplin. Ma il cinema è sperato da Nazaret come l'unica ancora di salvezza (è proprio guardando Charlot che cambierà il suo destino)…peccato che Akin non ci creda sino in fondo come il suo protagonista, consegnandoci un film stanco, oleografico e ampiamente pre-visto.

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