VENEZIA 71 – Theeb, di Naji Abu Nowar (Orizzonti)

theeb

Naji Abu Nowar, al suo primo lungometraggio, realizza un’opera matematica che prevale di spazi. Con un intreccio apparentemente semplice e composto da pochissimi personaggi, per lo più fermi nello stesso luogo, realizza un’opera magistralmente piccola nel suo essere così sottilmente complessa, con uno sviluppo della trama che cresce, si potrebbe dire, secondo la serie Fibonacci

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theebIl vincolo dell’ospitalità nella maggior parte dei paesi del Medio Oriente è sempre stato, ed è ancora oggi, un qualcosa di sacro, sinonimo della rispettabilità di chi ospita. La famiglia del piccolo Theeb vive in una tenda fissata in uno dei punti dell’immenso deserto, non troppo distante da un antico pozzo romano. Tutti i membri del gruppo vivono in una sorta di hortus conclusus sabbioso e felice (chiuso perché non ci si allontana dalla tenda se non è necessario), dove gli uomini fanno le cose da uomini, le donne fanno le cose da donne, e Theeb trascorre la sua giornata osservando e ascoltando i grandi e giocando con il fratello maggiore. L’idillio si interrompe quando un soldato inglese (nel gruppo si ignora la guerra che si sta consumando a poca distanza), accompagnato da una guida locale, chiede ospitalità per una notte e un passaggio fino all’antico pozzo. Theeb di nascosto segue il fratello mentre accompagna i due, in un viaggio al termine del quale si trova ad essere l’unico sopravvissuto e a dover convivere nel deserto con l’assassino del fratello.

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Naji Abu Nowar
, al suo primo lungometraggio, realizza un’opera matematica che prevale di spazi: affascinanti distese sabbiose intervallate da montagne occupano le profondità di campo nelle quali, in primo piano, si inseriscono i personaggi sempre disposti secondo diagonali eleganti, sempre osservati da un angolo non centrale. A mò di spirale, il cuore della trama, legato al principio dell’ospitalità, si ripete due volte: la prima volta quando è offerta dalla famiglia all’inglese, con garbo anche se senza simpatia; la seconda è nella necessaria convivenza che nasce dall’incontro del piccolo Theeb, con l’uomo che ne ha ucciso fratello. E dunque Naji Abu Nowar, con un intreccio apparentemente semplice e composto da pochissimi personaggi per lo più fermi nello stesso luogo, realizza un’opera magistralmente piccola nel suo essere così sottilmente complessa, con uno sviluppo della trama che cresce, si potrebbe dire, secondo la serie Fibonacci: un evento si somma ad un altro dello stesso livello, ne genera uno superiore che a sua volta si somma al precedente in un progredire spaziale e temporale che alla fine disattende le aspettative dello spettatore, sotto gli occhi del quale il piccolo Theeb si trasforma gentilmente, seppur severamente, in un leone. 

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