#Venezia 73 – Gantz:O, di Yasushi Kawamura

Cosa avrebbe tirato fuori un Takashi Miike da un materiale simile? Gantz:O – Fuori concorso – si limita a un prodotto di intrattenimento tecnicamente ineccepibile, ma privo di anima.

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Dal manga di culto Gantz, scritto e disegnato da Hiroya Oku, arriva l’atteso film di animazione digitale che ne adatta uno dei numerosi cicli narrativi, andando così ad affiancarsi ai vari spin off, film live action (Gantz – L’inizio e Gantz Revolution), serie animate, romanzi e videogiochi. In un presente alternativo, Tokyo e Osaka vengono prese d’assalto da orde di creature demoniache, forse di origine aliena. Mentre l’esercito e la polizia si dimostrano impotenti di fronte alla minaccia, l’unica ancora di salvezza per il genere umano è quella rappresentata dalle misteriose Tute nere, ovvero persone morte e poi resuscitate dal Gantz, una sfera nera che le equipaggia con armi iper tecnologiche per sconfiggere i mostri e accumulare punti come in un videogioco, il cui premio consiste nel poter ritornare in vita dimenticando completamente l’accaduto.

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La sceneggiatura di Gantz:O non spiega nulla, ed è meglio così: novanta minuti che sono sostanzialmente un’unica, lunga sequenza di combattimento che finisce per ignorare il prima e il dopo degli eventi raccontati (oltre ovviamente all’origine del Gantz stesso),

news_header_gantzo_20160729_2concentrandosi sull’azione e sullo stordimento di un ritmo frenetico e incalzante. L’animazione digitale è sorprendente, segnando probabilmente un nuovo traguardo e una nuova, ennesima, linea di demarcazione all’interno dello sviluppo tecnologico del genere. Ma se il divertimento dei fan è assicurato (notevole il richiamo/omaggio a Pacific Rim), resta l’amaro in bocca per quella che a conti fatti si dimostra un’occasione sprecata: lo script di Tsutomu Kuroiwa accenna idee tutt’altro che banali sull’immortalità dei corpi nell’era del digitale e sulla religione (i mostri sono divinità malvage?), ma Kawamura abbandona per strada qualsiasi suggestione preferendo concentrarsi sull’impatto spettacolare del suo film, inevitabilmente ripetitivo e alla lunga persino stucchevole (almeno per i non iniziati). Rimane da domandarsi cosa avrebbe tirato fuori un Takashi Miike, anche quello più spensierato e di cassetta, da un materiale simile; Gantz:O si limita così a un prodotto di intrattenimento tecnicamente ineccepibile, ma privo di anima.

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