#Venezia72 – 11 Minutes, di Jerzy Skolimowski

Il regista polacco torna in concorso con un veloce ed esplosivo divertissment concettuale sull’irrealtà dell’immagine (e della narrazione) contemporanea

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Immagini selfie rubate all’intimità della camera da letto da un telefonino, da tablet, da pc attraverso i quali i figli decidono magari di confessare alla madre il crimine che stanno per commettere per poi cambiare idea e staccare tutto. Immagini (ir)reali, oblique, in movimento o statiche. Schermi accesi ovunque controllano la città e i suoi abitanti. E come fosse un archivista davanti a questa materia visiva rubata alla vita il 77enne Jerzy Skolimowski clicca su alcune di queste finestre multimediali e assembla quattro, cinque storie da raccontare nel corso degli stessi 11 minuti. Destini che si intersecano, sfiorano, schizzano via e attraversano lo schermo per riflettere sulla caducità del mondo di oggi, sulla sua (ir)realtà figurativa, sentimentale, forse persino narrativa e cinematografica. C’è un che di nichilista infatti nel modo con cui il regista polacco assembla questi frammenti di vita altmaniani, questi short cuts barocchi che nonostante la continuità temporale non assomigliano per niente alla rappresentazione purista della vita in diretta, quanto piuttosto alla saturazione barocca e stilizzata di tanti piccoli cortometraggi allucinati contaminati da estetiche pubblicitarie, videomusicali, neorealiste, etc. Qui non conta tanto il Caso che fa incontrare i personaggi quanto l’ineluttabilità di un mondo e una narrazione deflagrata.

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E allora abbiamo figure abbozzate da un burattinaio invisibile che le fa vivere, muovere e rianimare per comporre un affresco forse già abortito ancor prima di cominciare. C’è una bellissima attrice di nome Ania che sta facendo un provino per un film erotico davanti a un produttore che ha già deciso di portarsela a letto. Il marito geloso di lei che insospettito corre a raggiungerla in albergo. Un giovane fattorino strafatto di coca che corre in moto ad altissima velocità in preda ad allucinazioni. Una ragazza si è appena lasciata con il ragazzo e porta a spasso un cane a cui il regista polacco concede soggettive dal basso verso l’alto, impossibili. Un’ambulanza di paramedici preleva una donna incinta e le due bambine, prigioniere di un uomo violento. Tutto qui. In 11 minuti. Non c’è tempo per alcuno sviluppo psicologico, né umanistico ma solo per azione e reazione. Del resto l’apocalisse è imminente come dimostra da subito quella “cosa” che i personaggi vedono in cielo. Lo indicano in fuori campo e noi spettatori non sappiamo cos’è finché a un certo punto osserviamo nello schermo di un addetto alla sicurezza un punto nero. Un’imperfezione. Il Big Bang con cui azzerare tutto e ripartire da zero.

Insomma cinque anni dopo aver sfiorato il Leone d’oro con Essential Killing – in quell’edizione fu “solo” Gran Premio della giuria – il polacco Jerzy Skolimowski ci riprova con un divertissment concettuale veloce ed esplosivo. Ma anche esplicitamente ambiguo. Perché 11 Minuti è un film mostruosamente senza etica nei confronti dei personaggi. Un esercizio di stile concettuale che sembra diretto da un esordiente e concepito da un maestro che forse non crede più al cinema e ci scherza sopra al punto da sterzare imprevedibilmente verso deliranti omaggi a John McTiernan (Die Hard). In un modo tutto suo opera modernissima e dadaista. Percussiva, rock. Cinema videogame comandato da pixel ribelli che fanno saltare l’equilibrio del racconto e della percezione del mondo. Game Over.

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