#Venezia72 – Bertrand Tavernier, il cinema e nient’altro

L’incontro con il regista francese a cui oggi viene consegnato in Sala Grande il Leone d’oro alla Carriera dopo la proiezione di La vita e nient’altro. Con un ricordo speciale per Philippe Noiret.

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“Nella mia carriera ho fatto soltanto i film che volevo. Senza compromessi”. Esordisce così Bertrand Tavernier nell’incontro moderato dal Direttore del festival Alberto Barbera. Al cineasta francese viene consegnato oggi, in Sala Grande, il Leone d’oro alla carriera dopo la proiezione di La vita e nient’altro del 1989.

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Il cinema ha sempre accompagnato la sua vita. Fin dall’inizio. “Quando avevo 13 anni sognavo di diventare sceneggiatore e non pensavo di avere una vita così straordinaria”. Ma i genitori erano contrari. Desideravano che studiasse Scienze Politiche o Diritto: “Soprattutto mia madre non voleva. Poi ci hanno pensato i miei genitori cinematografici a convincerla: Jean-Pierre Melville e Claude Sautet“.

bertrand tavernier con philippe noiret sul set di la vie et rien d'autreÈ molto contento di ricevere il Leone d’oro alla carriera al Festival di Venezia: “Questo premio viene da un paese di amici come Antonioni, Fellini, Risi, Scola e Monicelli. Mi ricordo anche quando ero stato sul set di Amici miei per cinque giorni. Spero un giorno di poter fare un film bello come Una vita difficile, Germania anno zero o Europa ’51“. Sui maggiori riconoscimenti all’estero però precisa: “Non è che la Francia mi ha ignorato; ho comunque vinto 4 César, un Prix Delluc e un Premio del cinema europeo. Non posso lamentarmi”.

Inevitabile chiedergli di Philippe Noiret, uno dei suoi attori feticcio con cui ha girato L’orologiaio di Saint Paul (1974), Il giudice e l’assassino (1975), Colpo di spugna (1981), Round Midnight (1986), La vita e nient’altro ed Eloise, la figlia di D’Artagnan (1994). “Qui potrei dilungarmi molto. È grazie a lui che faccio del cinema perché ha creduto subito in me. Ho avuto molti problemi prima di realizzare il mio primo film, L’orologiaio di Saint Paul. Con la sceneggiatura pronta abbiamo dovuto aspettare tre anni prima che il progetto vedesse la luce. Philippe mi ha detto subito di si. A scatola chiusa. Mi accompagnava dai produttori per chiedere i finanziamenti. Un giorno gli ho chiesto perché facesse tutto questo. E lui mi ha detto che mi aveva dato la sua parola. Aveva un concetto del mestiere di attore molto integro. Anche quando stava male e non riusciva quasi a camminare, una volta sul palcoscenico trovò la forza per mettersi a correre. Ero sempre felicissimo di ritrovarlo sul set. Era come il mio fratello maggiore”.

bertrand tavernier e philippe noiretUn altro nome che il cineasta vuole ricordare è quello di Jean Rochefort. “L’attore che doveva inizialmente interpretare la sua parte mi aveva mollato due giorni prima delle riprese. A quel punto mi eri messo in contatto con Rochefort. Nella stessa giornata ci ero andato a pranzo e poi mi ha dato la risposta affermativa dopo un’ora e mezza. Oggi ti fanno aspettare anche sei mesi”.

Resta sempre molto legato alla sua città natale, Lione.Michael Powell nella mia autobiografia aveva scritto: ‘Ho guardato tutta la vita l’acqua che scorre’. Quando mi sono trasferito a Parigi ero un po’ triste perché la Senna è meno bello de Rodano”.

Non può mancare il punto sul cinema francese e sul proprio paese in generale. “Gene Hackman, in un film di Arthur Penn (Gangster Story), aveva detto che nei film di Rohmer si parla molto e non succede mai niente. Lui invee è stato un grandissimo regista e resto basito quando sento queste affermazioni”. Inoltre accenna ai due film in concorso di quest’anno – L’hermine di Christian Vincent e Marguerite di Xavier Giannoli dicendo che sono molto belli. Infine si mostra preoccupato per la situazione politica ma comunque precisa: “La Francia è anche il paese dove alcuni dottori ci mettono tutto l’amore nel proprio mestiere, dell’accoglienza degli immigrati, del ceto popolare che è fuggito dal Front National, di Medici senza Frontiere. Ecco, di questa Francia nessuno parla”.

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