#Venezia72 – “De Palma”: le parole di Baumbach, Paltrow e Brian De Palma

Conferenza stampa affollatissima quella che vede protagonista assoluto l’uomo del giorno qui al Lido: Brian De Palma, il il Glory to the Filmaker 2015

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Conferenza stampa affollatissima quella che vede protagonista assoluto l’uomo del giorno qui al Lido: Brian De Palma, il Glory to the Filmaker 2015. L’occasione, però, è anche quella di presentare in anteprima il documentario firmato da Noah Baumbach e Jack Paltrow (De Palma) che in una lunghissima intervista al Maestro si inoltrano dalla New Hollywood anni ’60/’70 sino agli ultimi film con produzioni europee.

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De Palma, a tal proposito, dice: “Noah e Jack me l’hanno chiesto, io sono stato contento, l’abbiamo fatto. Ormai sono passati 5 anni da quell’intervista, mi ricordo solo che dovevo portare sempre la stessa camicia per l’intera settimana di riprese. Che dire del risultato? Loro sono stati bravi, perché hanno scelto i momenti giusti per far parlare le immagini dei miei film e farmi le domande giuste al riguardo”. Jack Paltrow spiega che il materiale da montare era moltissimo, circa 30 ore di girato, “poi ovviamente tocca fare delle scelte al montaggio”. “Certo”, aggiunge Baumbach, “noi volevamo comunque fare un lungometraggio di durata ragionevole, non escludiamo in futuro un rimontaggio con molte risposte in più da parte di Brian, magari per una edizione DVD, ma per ora questo è il montaggio finale”.

Dal documentario traspare chiaramente un aspetto del carattere di De Palma che probabilmente è uno dei segreti di tanta longevità artistica, ossia l’ironia a tratti dirompente, e De Palma concorda: “si è vero, questa secondo me dovrebbe essere una dota basilare per chiunque voglia fare il regista cinematografico. Ci sono così tante variabili con cui confrontarsi, e ci saranno talmente tanti film che tu reputerai ottimi e che gli altri invece odieranno; o altri film che tu considererai non riusciti e che invece verranno accolti benissimo…beh, è un mondo così, devi essere ironico e autoironico per sopravvivere”. Il cinema, innegabilmente è molto cambiato dagli esordi negli anni ’60, “è vero, si, ma la cosa che mi manca di più rispetto a quegli anni è proprio la condivisione delle idee. Eravamo un gruppo di cineasti amici che si supportavano a vicenda, ognuno leggeva le

1sceneggiature dell’altro, si usciva la sera e si parlava di come sarebbe stato il nostro prossimo film. Ecco questa atmosfera si è un po’ persa, ed è per questo che con Noah, Jack, o Wes Anderson da dieci anni a questa parte ci si incontra ogni tanto per parlare di diverse cose del nostro mondo. Da questa abitudine è nato il documentario”.

Non così scontate le derivazioni depalmiane nel cinema di Noah Baumbach, che infatti dice “il lato che mi ha più influenzato di Brian, da sempre, è il fatto che i suoi film siano così incredibilmente personali. C’è sempre molto De Palma nei suoi film. Lui ha lavorato in maniera indipendente poi con Hollywood in diverse ere, poi ancora con produttori stranieri, ma è sempre rimasto fedele a una sua idea di cinema. Quindi oltre ai suoi capolavori, ovviamente, è questo aspetto che mi ha influenzato più di lui. E in fondo è questo che volevamo fosse il cuore del documentario: perché se un regista intervista un altro regista (come Bogdanovich con Welles o Truffaut con Hitchcock) si avverte immediatamente la differenza rispetto a un’intervista di altro tipo, si crea una intima confidenza.” Da cosa partire per fare un film? De Palma non ha dubbi, “da un’idea visiva. La storia viene dopo, io la costruisco intorno. Sono sempre partito da forti suggestioni visive e ho cercato di ragionare su quelle”. Questa sera, ore 21,30, consegna del premio in Sala Grande e proiezione ufficiale del documentario.

 

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