#Venezia72 – Krigen (A War), di Tobias Lindholm

Il cinema di Tobias Lindholm indaga il nostro tempo e Krigen è una originale riflessione sugli effetti del conflitto bellico tra applicazione delle regole e coscienza del male. In Orizzonti

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L’etica, le regole, le leggi, il dovere, tutto deve essere calcolato nel momento del caos bellico, mentre addosso ti cadono le bombe e la terra sotto i piedi, mentre trema fragorosamente, continua a mancarti, forse perché un tuo amico è stato gravemente ferito da una delle tante pallottole che piovono addosso, insieme alle granate. Decidere, in quel frangente di colpire un compound senza conoscere esattamente chi ci sia dentro, se civili o militari, può significare uccidere civili ed essere tratto a giudizio davanti al tribunale. È questo per Claus il frutto della guerra in Afghanistan.
Tobias Lindholm pone un bel problema etico che forse non è nuovo nella dialettica del cinema bellico, ma lo è quasi sicuramente alla nostra epoca della guerra 2.0. Lui non è nuovo a queste riflessioni, un suo film precedente Kapryngen del 2012 poneva, sempre sul piano dell’etica, interrogativi di altra natura. Anche in quel caso, una situazione estrema conduceva i protagonisti in un labirinto di interrogativi.
Le sue doti di scrittura ne hanno fatto un collaboratore non secondario per Vinterberg ed è sua ad esempio la sceneggiatura di Il sospetto in cui prevale il pregiudizio a danno di un innocente.
Krigen si apre come un film di guerra, con l’estetica fortemente accentuata alla quale siamo ormai abituati a partire da Black

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Krigen, Lindholm

Krigen, Lindholm

hawk down in poi, film che sicuramente ha mutato l’approccio al cinema bellico, sia per gli autori, sia per lo spettatore. Claus è in guerra e la sua famiglia, moglie e tre figli in Danimarca. Ma qui non c’è eroismo da coltivare alla American sniper, la quotidianità del conflitto fa il paio con l’altra giornaliera fatica che la moglie vive a migliaia di chilometri di distanza. Un errore di valutazione, unito alla necessità di salvare il commilitone ferito gravemente mette nei guai Claus che, se pure assolto dalla giustizia del tribunale, grazie alla solidarietà militare, non sarà mai assolto dalla sua coscienza.
L’etica e le regole sembrano dovere essere al centro dei pensieri di chi tira le fila del comando. Il pubblico ministero militare si da un bel da fare per inchiodare Claus alle sue responsabilità che nascono dall’avere colpito un’area in cui sono morti 11 civili, come se la guerra in se sia un atto dotato di etica umanitaria che solo Claus abbia violato.
Il film pone molteplici interrogativi, spiazzando chi si attendesse una semplificazione dei fatti e solo un’ennesima riflessione sulla durezza del conflitto e la sua inutilità. Krigen, invece, stratifica la sua consistenza lasciando aperta ogni soluzione pur concludendo la vicenda sotto il profilo narrativo.
Non c’entra nulla il coraggio, quanto piuttosto l’impossibilità del controllo di ogni evento, di ogni circostanza. L’interrogativo etico rimane per ciascuno spettatore ed è questo che Lindholm sembra riversarci addosso: la responsabilità di una risposta al dramma etico di Claus. Il suo cinema sia da regista, sia da sceneggiatore indaga il nostro tempo sempre con maggiore profondità, la dove colpisce il pregiudizio o la dove la semplificazione non sia possibile. Il cinema di Lindholm riesce a farci guardare alla complessità del reale, alla difficoltà, se non all’impossibilità, di dominarla nelle sue diversificate articolazioni. Il conflitto bellico diventa un terreno di coltura estremamente interessante in cui sviluppare questi temi e nei quali lanciare questi interrogativi che sembrano invece restare spesso sospesi e ignorati nel mondo reale.

Krigen

Krigen

Nel caso della guerra, della guerra dei nostri giorni non diventa estraneo al film riflettere sul ruolo degli stati, che poi è riflettere sul ruolo dei governi, quindi della politica. Le guerre sono diventate “missioni di pace” ma sono i soldati che le combattono con le armi da guerra. Il potere politico sembra volersi liberare della responsabilità di chiamare guerra quella iniziativa riversando sui militari ogni conseguenza della sua gestione. Questa riflessione nel film di Lindholm diventa evidente in tutta la seconda parte, nella quale l’accusa lavora alacremente seduta alla scrivania. In questa contraddizione si muove Krigen utilizzando questi che contribuiscono al dibattito pace vs. guerra e su questi temi si gioca una buona parte del senso del film.
Ma è la coscienza personale di Claus a diventare la più spietata corte di giustizia. L’assoluzione che definisce la vicenda sotto il profilo del diritto sembra non riguardare più Claus, né ha nulla a che vedere con i codici civili o militari o con il dritto internazionale, ma è molto di più e molto più gravi sono i suoi effetti, Claus ha da fare i conti con quelle undici persone morte, con i piedini di quel bambino nella povera casa afghana, deve fare i conti con il male provocato.
Claus deve dare risposte alla sua coscienza che agisce, kantianamente in nome di quella legge morale che sta dentro di noi, tribunale inappellabile e spietato,

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