#Venezia72 – Mountain, di Yaelle Kayam

Nonostante gli interessanti presupposti, Mountain non è in grado non tanto di risolverli ma nemmeno di affrontarli, limitandosi piuttosto a una ripetitiva variazione su un’unica idea. In Orizzonti

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Il Monte degli Ulivi è un luogo carico di significati religiosi, un paesaggio roccioso ricoperto di tombe da cui, secondo l’Antico Testamento, risorgeranno i primi morti per volere di Dio. Su questo sfondo si dispiega la quotidianità della protagonista dell’esordio alla regia della regista Yaelle Kayam, scandita da rituali e solitudine.

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La donna deve badare ai quattro piccoli figli, mentre il marito, un insegnante e devoto ortodosso, raramente le dedica attenzioni. In questo paesaggio allo stesso tempo arido e fertile, osserviamo l’emergere del desiderio che scaturisce in lei, e il suo non sapere come esprimerlo, irrigidita dalle convenzioni e dall’isolamento dal resto del mondo. In una delle sue innumerevoli notti solitarie, la donna scopre che il cimitero è usato come luogo di incontri sessuali, evento che non fa che complicare ancor di più i suoi sentimenti in confusione. Durante il dialogo con una prostituta è infatti incapace di dare voce ai suoi desideri, non riesce a spiegare cosa la spinga a spiare quegli atti clandestini.

Non è un caso che la protagonista non abbia nome: costretta nel ruolo di madre e moglie, non ha identità né libertà, e i suoi tentativi di trovare un’espressione ai suoi desideri rimandano a una condizione che la regista tenta di isolare e in qualche modo universalizzare. Peccato che, aldilà degli interessanti presupposti, il film non sia in grado non tanto di risolverli ma nemmeno di affrontarli, limitandosi a una ripetitiva variazione su un’unica idea. La location, sulla carta estremamente evocativa, alla lunga finisce per rimanere uno sfondo, senza mai dialogare con il corpo della protagonista. Solo la luce dorata che in certe inquadrature che fanno emergere il suo volto dall’oscurità sembra in grado di comprenderla e trasportarla altrove.

 

Anche per questo motivo, l’estrema decisione finale che chiude il film arriva inaspettata, un’incrinatura non per forza azzeccata che rivela un impianto debole, che fa forse troppo affidamento al simbolismo a discapito della costruzione di un’atmosfera in grado di elevare le immagini al di là del loro significato.

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