#Venezia72 – Visaaranai (Interrogation), di Vetri Maraan

Una deriva surreale, quasi assurda, una rappresentazione che appare irreale ma che non si discosta da ciò che accade in ogni stazione di polizia. In Orizzonti

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Già nello scarto della traduzione, nel bicromatismo dei sottotitoli, è racchiusa gran parte della violenza che sta alla base di Visaaranai. Nell’inerzia della lingua che amplifica il divario sociale, che marchia all’udito la differenza, innescando nell’immediato una gerarchia costruita sul sopruso. Se nei film di Apichatpong i lavoratori migranti burmesi evitano di parlare per non essere riconosciuti come tali, nel film di Maraan i protagonisti cercano invano di far valere la propria voce, invano. Alle loro grida di dolore rispondono solo le voci del pestaggio e della tortura. Tutta la prima parte del film è costruita sull’incomprensione, su un senso di impotenza disarmante. Piegati dalle bastonate, i detenuti non ricevono alcuna spiegazione, e a noi non resta che inorridire di fronte ai lividi e al sangue, alle urla e ai colpi secchi.

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Nei territori del non detto, il film sembra prendere una deriva surreale, quasi assurda, una rappresentazione che appare irreale ma che non si discosta da ciò che realmente succede ogni giorno nelle stazioni di polizie, non solo indiane. Ed è forse la necessità di inquadrare la storia in un preciso contesto, basato sulla vera vicenda raccontata da M. Chandrakumar nel bestseller Lock Up, che la storia decide di srotolarsi e di spiegare, anche troppo, le circostanze. Ma sembra una battuta d’arresto, o meglio, un altro film. Quasi un thriller psicotico, dove non si fa più mistero delle intenzioni dei vari personaggi, benché il tutto sia orchestrato in maniera soffocante, non lineare e per certi versi ancor più confusionaria. Anche nel dire le cose con chiarezza, appare tutto incerto, traballante come la regia stessa, che all’eleganza e al rigore della prima metà si fa invece nervosa, volutamente sgrammaticata (si veda l’utilizzo quasi sconsiderato dello zoom all’indietro nelle ultime scene, quasi un tentativo dell’occhio di voler ampliare senza successo il suo raggio di potere visivo, ma senza successo).

Tutto precipita fino al finale notturno, che sprofonda in acque scure e non risparmia un finale ancor più nero e amaro, ma che comunque impallidisce di fronte alle (ormai quasi obbligatorie) annotazioni finali, un po’ di dati e statistiche che cancellano in pochi secondi quanto di fittizio abbiamo assistito per ribadire il movente profondamente politico di Visaaranai.

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