#Venezia73 – Gukoroku (Traces of Sin), di Kei Ishikawa

Dal Giappone, nella sezione Orizzonti, un film complesso che parte come un’indagine di polizia per assumere i tratti di una investigazione sui rapporti familiari ossessivamente esclusivi ed oscuri.

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Forse la citazione iniziale – non sappiamo quanto volontaria – di I soliti sospetti capolavoro di Bryan Singer, ci mette in guardia su quanto stiamo per vedere, avvertendoci che molto, nella vicenda che ci viene raccontata, ci sarà da ricercare per trovare il filo della verità.
Tanaka è un giornalista che viene incaricato dalla sua redazione di indagare su un delitto efferato, rimasto irrisolto, in cui è stata sterminata una famiglia modello. Sua sorella è in prigione per non avere badato con la dovuta attenzione alla figlia. L’indagine porterà il giornalista verso direzioni inattese. Soprattutto sarà progressivo l’avvicinamento alle vicende familiari che lo riguardano.
Dal Giappone arriva nella sezione Orizzonti, questo complesso film che parte come Gokuroku, Venezia 73un’indagine di polizia per assumere i tratti di una investigazione sulla famiglia e sui rapporti ossessivamente esclusivi ed oscuri che si formano all’interno di essa.
Un grande lavoro di regia domina la progressività narrativa e Ishikawa ci accompagna verso le derive sempre più ristrette e sempre più scabrose che la vicenda ci fa scoprire. La progressione è lenta, ma inesorabile e con la stessa apparente tranquillità Tanaka prosegue la propria indagine che sembra avvolgersi attorno a lui con sempre meno larghi movimenti a spirale. Kei Ishikawa dirige un film esemplare, fatto di geometrie orizzontali secondo la consolidata forma che assume di frequente il cinema nipponico.
È l’indagine sulla verità, sulle oscure tracce dei peccati familiari a dare altra forma e profilo a Gukoroku. L’egoismo familiare, come quello della madre ormai lontana e felice che si disinteressa delle conseguenze dei fatti del passato che oggi ricadono sui figli e il presunto amore familiare che si trasforma in incesto, si accompagna allo svelamento di un’altra verità sulla famiglia che è stata sterminata. Una famiglia che si scopre non essere perfetta così come appare. Le testimonianze che Tanaka raccoglie restituiscono un’altra verità rispetto a quella ufficiale. Una verità che questa volta non si addensa attorno ad una rivelazione di oscure dinamiche familiari, ma che riguarda la più ampia collettività, colpe sociali diffuse che incidono,

Gokuroku, Ishikawasulle vite delle persone modificandone il corso. Siamo in presenza di una società che ci appare chiusa e stretta dentro spietate regole che impongono precise gerarchie sociali. Si incrociano quindi qui le vicende personali con le diffuse regole collettive che riguardano i rapporti di classe e la conseguente emarginazione nei confronti di chi appartiene ai ranghi sociali inferiori.
Altre tracce di peccato che contribuiscono a generare una stratificazione di elementi che indubbiamente sovrappone ulteriori interpretazioni che arricchiscono il senso di un film già pieno di componenti. Ma la magia che riesce ad Ishikawa è quella di utilizzare una razionale messa in scena, un procedere mai impetuoso e una scrittura lucida in cui ogni componente trova la necessaria messa a fuoco, pur nella moltitudine di temi e un ribollire di misteri che lentamente si svelano. Una capacità di controllo della narrazione che si rivela efficace fin dalla cura dell’immagine. A questo si aggiunge anche il non trascurabile piacere della visione, con la scoperta di una trama che prende direzioni differenti, senza eclatanti colpi di scena, ma sempre con un equilibrio invidiabile ed esemplare. Un equilibrio che il film mantiene anche nel mostrare la sua vera natura. Gukoroku non Gokurokudiventa mai cinema di genere, nonostante la produzione sia affidata alla factory di Takeshi Kitano e non si discosta mai da una forma riflessiva e meditativa che si esprime in quella citata razionalità della messa in scena e nella discreta misura del suo procedere. Il cinema di Ishikawa sembra restare leggero nonostante la grevità dei temi, sembra galleggiare nonostante il pesante peso specifico delle sue componenti.
Ci domandiamo, ancora una volta, per un altro film, per quale ragione un’opera così ricca, così lucidamente interpretativa del cinema non abbia trovato posto nella sezione principale della Mostra per restituire la giusta dignità che si deve ad un film raro per scrittura e piacere della visione.

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