#Venezia73 – Questi giorni, di Giuseppe Piccioni

Piccioni, troppo concentrato nel regalare una verosimiglianza generazionale al film, non riesce a vivere fino in fondo, i turbamenti, le preoccupazioni e i dolori delle sue protagoniste. In Concorso

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L’ingenua Anna, la dolente Liliana e la cinica Angela decidono di accompagnare la dura Caterina, loro amica del cuore, fino a Belgrado, dove la ragazza ha trovato un lavoro in un albergo di lusso e un appartamento. Il viaggio dall’anonima e ovattata provincia italiana alla Serbia, passando per le montagne del Montenegro, metterà le quattro ragazze di fronte alle proprie paure e problemi, spingendole a fare un bilancio delle loro vite. E’ difficile trovare, all’interno di Questi Giorni di Giuseppe Piccioni, traiettorie marcate o precisi punti di riferimento. La storia di queste quattro ragazze alle prese, ognuna, con un demone da esorcizzare (una gravidanza imprevista, una malattia, amori non corrisposti o ormai esauriti), sono immerse in un’atmosfera glaciale e sospesa che anestetizza ogni elemento emotivo, lasciando le ragazze in una sofferta situazione di passaggio. L’idea di realizzare un anomalo teen-road movie, impreziosito da un tocco autoriale decisamente forte, raggiunge, alla fine, il risultato di svuotare inconsciamente il film di una forza emotiva, generando un’inspiegabile distanza narrativa tra l’autore e la sua storia.

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margherita-buy-questi-giorniPiccioni, probabilmente troppo concentrato nel regalare una verosimiglianza generazionale al film, non riesce a vivere fino in fondo, i turbamenti, le preoccupazioni e i dolori delle sue protagoniste. I limiti principali della pellicola, dunque, non sono da cercare nelle interpretazioni troppo calibrate o in una costruzione narrativa lineare, senza conflitti decisivi. Nemmeno l’essersi disinteressati di dare profondità al mondo che circonda le ragazze può essere considerato un peccato capitale (anzi, ignorare i paesaggi in un road movie è una scelta molto coraggiosa). Il problema principale, invece, è la lenta perdita dell’autore di uno sguardo passionale sulla propria opera. A differenza di Muccino, capace di circondare i suoi assurdi adolescenti di una calda e coerente morbosità, le ragazze di Piccioni sono figure fredde nel loro essere splendidamente disegnate. Le protagoniste, infatti, lasciate completamente sole dentro una confezione fatta da inquadrature ben pensate, colonna sonora accattivante e i dialoghi scritti con irreale precisione, diventano immagini artificiose. Questa deriva statica è il naturale traguardo della strada celebrale scelta da Piccioni. Un’opzione narrativa che lascia da parte le emozioni dirette ma che, nella presenza (ingombrante?) di Margherita Buy e Sergio Rubini, trova due simboli concreti di lucido passaggio generazionale all’interno del suo cinema.

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