#Venezia73 – The Light Between Oceans, di Derek Cianfrance

Cianfrance sa cosa vuol dire raccontare per immagini e sa ben inquadrare il filo rosso che lega i volti umani ai campi lunghissimi della natura. Ma tutto questo, qui, non basta. In Concorso.

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“A Derek Cianfrance interessa solo catturare il tra le persone”, si scriveva ai tempi di Come un tuono. E sin dal suo letterale titolo anche questo The Light Between Oceans (tratto dal romanzo di M. L. Stedman del 2012) intende proprio illuminare gli spazi relazionali ancora aperti dal cinema nel percorso di redenzione. Tom Sherbourne (Michael Fassbender) è un reduce dalla Prima Guerra Mondiale che tornato in Australia decide di accettare un lavoro che lo porti lontano da tutto e tutti: accetta di fare il guardiano di un faro, vivendo in una sperduta isoletta incuneata tra l’Oceano Indiano e l’Oceano Antartico. Inaspettatamente trova moglie, però: la giovane Isabel (Alicia Vikander) s’innamora di lui all’istante e lo segue in quel fuori-campo della civiltà, dove sono gli elementi a far sentire tutto il loro peso. La terra (poca) incuneata nell’Acqua (tanta) che si estende a perdita d’occhio; poi il vento (minaccioso) che spira inesorabile attraversato solo dalla luce del faro (la redenzione?) che indica la giusta direzione ai naviganti. Archetipi crudi, un misterioso trauma passato legato alla Grande Guerra e un percorso di “passione” che porti alla nascita di una nuova vita: il “classico”. Insomma Cianfrance riduce all’osso i gorghi sentimentali così tipici del suo cinema, orchestrando un meccanismo narrativo a orologeria che tira dritto verso una scelta morale da compiere: una barca porta a riva il cadavere di un uomo con la figlia di pochi mesi ancora viva e, dopo due aborti naturali, Isabel prende tutto questo come una ricompensa del destino. Propone di adottare illecitamente la bimba e di non rivelare mai a nessuno il loro segreto, sino a quando Tom riconoscerà per caso la vera madre (Rachel Weisz). Che fare?

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the-lightCianfrance sa cosa vuol dire narrare per immagini, sa inquadrare come pochi il perturbante filo rosso che lega i primi piani (i paesaggi umani dei volti, ancora immagine-percezione) ai campi lunghissimi della natura incontaminata (potenze primitive), e ancora una volta sa come far recitare al meglio i suoi attori. Ma tutto questo, purtroppo, non basta più. Perché la meticolosa cura formale nei tagli di inquadratura, la luce “romantica” affidata ad Adam Arkapaw o le eteree melodie composte da Alexandre Desplat, non riescono praticamente mai a far scartare il film dalla gabbia asfissiante imposta dal romanzo di partenza. Tutto è troppo detto, tutto è sin troppo atteso, tutto avviene troppo velocemente, e ci si ritrova ben presto a condividere in pieno lo stato di anestesia emotiva che denuncia a più riprese Tom. Ecco: la cosa paradossale di questo melodrammone a tinte fortissime è che vorrebbe risucchiarci sin da subito negli strazianti gorghi emotivi che disegna (amore e dolore, sin troppo esibiti), ma a conti fatti risulta di una freddezza sinceramente incomprensibile. Vien da pensare che il tallone d’Achille del cinema di Cianfrance già notato in nuce nei precedenti film – quel meccanismo di sceneggiatura blindato in un deterministico e circolare percorso “già scritto” –, questa volta proprio non riesca ad essere sabotato dai sentimenti autentici dei personaggi (pensiamo a The Immigrant di Gray…). Cosa rimane? Beh, Derek Cianfrance si dimostra comunque un regista onesto, che rischia e non bluffa mai: allora “bisogna perdonare e andare avanti”, come dice Rachel Weitz nel film. Ci auguriamo quindi che questo The Light Between Oceans sia solo l’accidentale film sbagliato di un regista che saprà stupirci ancora in futuro.

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