#Venezia73 – Un disperato, struggente, doloroso e magnifico mélo: One More Time With Feeling, di Andrew Dominik (& Nick Cave)

Sorprendente Andrew Dominik che ci regala un meraviglioso “atto di dolore” condiviso, con il corpo, le parole e la musica di Nick Cave, e il suo nuovo album “Skeleton Tree”. Un mélo del XXI secolo.

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Guardandoti allo specchio riconosci la persona che eri

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Ma dentro sei cambiato

 

Finalmente in questa Venezia semiplumbea e come (sempre) avvolta da una sorta di “dolore immanente” arriva un film, un film?, un documentario?, un “qualcosa” che rimette tutto fuori posto, scompagina definizioni e categorie, pregiudizi e generi, autori e visioni. Non amo particolarmente il cinema di Andrew Dominik, troppo estetizzante e narcotizzante avevo trovato il suo cinema precedente, ma oggi, dopo la visione di questa devastate esperienza sensoriale che è One More Time With Feeling, forse devo ricredermi. E per i registi, come per tutte le persone, ogni tanto dovremmo riconsiderare le nostre prese di posizione, i nostri dannati pregiudizi, e imparare ad amare ogni singolo gesto di ognuno…

Il film è insieme un magnifico lungo infinito massacrante trailer  di Skeleton Tree , il sedicesimo album di Nick Cave & The Bad Seeds, che difatti presenta in anteprima tutte le sue, magnifiche, otto tracce che contiene l’album.  Ma questo documentario non è uno spot, ma un atto d’amore e d’amicizia, da parte di un regista, Andrew Domink, che ha scelto di documentare l’atto della creazione artistica di questo nuovo album, che inevitabilmente si mescolava con l’elaborazione del lutto e del dolore per la terribile perdita affrontata da Nick Cave e sua moglie Susy, ovvero la perdita del figlio 15enne Arthur, il 14 luglio 2015, morto  in circostanze poco chiare dopo essere caduta da una scogliera di 18 metri vicino a Brigthon, una città sulla costa dell’East Sussex, a sud di Londra.

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Da quando sei diventato oggetto di pietà? 

Ma il film sceglie di partire quasi ignorando o saltando questo tasto dolente, e vediamo così il set, il corpo di Nick che si muove nello studio di registrazione, tra i musicisti della sua band e i tecnici del film, con le macchine in bella evidenza, senza nascondere nulla. Perché il documentario non vuole far finta che non ci sia lo sguardo di qualcuno a raccontare quello che vediamo, e perché poi quelle macchine, alcune piccole e quasi invisibili (2D) l’altra più grande e ingombrante (la 3D) devono diventare parte della giornata, della quotidianità di tutti, quasi un amico che gira indisturbato tra di loro, catturandone gesta e suoni, attimi rubati in un bagno o mentre si beve qualcosa…

Come fossimo in un film di Jonathan Demme (Rachel Getting Married) ma qui non è la musica “dal vivo” che entra dentro la storia viva del film, ma le macchine da presa che catturano immagini e suoni che entrano dentro l’atto della creazione musicale.

Ma quella tragedia, quel trauma, ha cambiato Nick Cave per sempre, e guardandosi allo specchio, non riconosce che un’apparenza altra da se….

E per strada, racconta, tutti sembrano così gentili e vicini, disponibili a condividere quel dolore, quella perdita insensata…

 

Qualcuno deve cantare il dolore

Cosa puoi fare quando il dolore è così straziante che non ti permette più di pensare, immaginare, quasi respirare?  Non puoi allontanarti da quella perdita, “il tempo è come un elastico” dice Nick a un certo punto, e comunque alla fine ritorni in quel cave16pianomomento in cui hai perso la persona amata e cara. E, come dice Susy, la moglie, l’unica cosa che puoi provare a fare è distrarti con il lavoro. E per Nick Cave il lavoro è scrivere, suonare, cantare. E le canzoni sembrano quasi essere strappate fuori dalle viscere, non seguono più alcun filo logico possibile, la musica si aggrappa alle parole, o viceversa, come se non avesse altro luogo dove andare, come se dovesse diventare un respiro nuovo, un bacio, un lungo addio…

Colpisce la delicatezza di sguardo (e di ascolto) di Dominik che riesce a stare completamente dentro questo “universo creativo di dolore e pianto” eppure senza mai farsi sentire invasivo, vouyeristico, estraneo. La macchina da presa di Dominick sembra un compagno di viaggio, sensibile e silenziosa, che attraversa questa doppia creazione parallela, l’album e il film.

 

Gli uomini sono bidimensionali, le donne tridimensionali…

Mia moglie, ogni volta che provo a capirla, esce dal fotogramma

E la voce di Nick Cave, che sembra provenire dalle viscere dell’inferno interiore, esplode sullo schermo in tutta la sua dolcezza tenebrosa e sincera, passionale e ferma, a volte persino crudele, ma decisa rivelare il mondo ad ogni costo (non so perché mi ha fatto venire in mente l’immagine, dura e sensibile, di John Wayne, quando in Sentieri selvaggi, solleva al cielo la piccola Nathalie Wood, che ha ricercato per anni, la vede cambiata, ormai diversa, la vorrebbe uccidere tanta è la rabbia accumulata, ma può solamente sollevarla più in alto possibile e dirle “Torniamo a casa”…).

Perché nel film di Dominik c’è anche la presenza, leggerissima e quasi invisibile, di Susy, la compagna del cantante. E Nick che racconta di come le donne a volte esercitino il loro bisogno di creatività spostando gli oggetti nelle case, in una trasformazione perenne dello spazio circostante. Possiamo provare a capirle? No, solo amarle…altrimenti ci sfuggono dal quadro…

 

Se vuoi sanguinare sanguina 

oncemorewithfeeling5g2a5400-high-resE così il corpo lungo, lunghissimo di Nick Cave attraversa lo schermo, come se fosse sempre alla ricerca di un “centro”, un punto di riferimento visivo, dove collocarsi nello spazio. Ecco quello che meraviglia è la capacità dello sguardo commosso ed empatico di Dominik di stare vicino a quel corpo senza stargli troppo addosso, senza soffocarlo con il suo abbraccio. Nick è lì, con le sue parole, dentro e fuori le immagini, quasi in un dialogo a due con se stessi, e, con un movimento delizioso e sinuoso, la macchina da presa a tratti sembra quasi fuggire, sospinta dalle parole e dalla musica fuori da quello studio, vibrare nelle scale, tra le pareti, ed uscire per dei piccoli varchi nelle pareti…

Devo ricordarmi di essere gentile

Forse dovremmo ricordarcelo tutti. Sempre, o almeno il più possibile. Perché la gentilezza è quella che ci contraddistingue come esseri umani compassionevoli, che sanno entrare in sintonia con le emozioni (e i dolori, anche) degli altri. Nick non è un tipo facile, lo ha detto anche Dominik, a volte è scorbutico, spesso permaloso, e quindi questo suo “memo” è un atto (non dovuto) di umiltà. Perdere le persone che amiamo ci rimette al livello degli altri, del mondo, tutti perdiamo qualcosa o qualcuno, tutti siamo mortali, tutti siamo destinati (anche) a soffrire, per questo essere gentili con gli altri è come un riscatto, un dedicare agli altri, meglio ancora se sconosciuti, quel pizzico d’amore perduto.

 

Piango lacrime amare, in coda al supermercato 

pegasus_LARGE_t_1581_106974061E la vita continua, e se Dominik a tratti sembra quasi voler rifuggire da questo suo ruolo di chi “incalza” l’oggetto del suo film, Nick Cave invece non sembra mai indietreggiare. Più il film, e le canzoni, si avvicinano al “cuore del dolore” (che poi è quello del film), più Nick Cave sembra accettare questo “progetto non progettato” del film come una sorta di “atto di dolore collettivo”, da condividere con il mondo, non certo per lenire ma per esplorare o forse far esplodere il dolore.

 

Io mi aggrappo al mio iceberg, e canto a te…

Oh le cose che amiamo, amiamo, amiamo, perdiamo….

Ci si aggrappa a qualcosa, a qualcuno. Ad un senso possibile, anche se non lo trovi. E qui Cave sembra trovarlo in una ricerca interiore che, da ultimo, gli ha conferito come una sorta di nuova “consapevolezza”, con la quale provare, provare, provare, almeno a venire a patti con la sofferenza interiore che ti percorre ogni giorno. A volte anche con cinismo: “Mi dicono che Arthur è qui, vivo nel mio cuore. Ma non è vero. E’ qui nel mio cuore ma non è…vivo

 

C’è più Paradiso all’Inferno di quanto ci sia stato detto

79a394b77d5f6fdb0b6628682bedf604Ma ci sta pur sempre la vita, da vivere appunto. La tua donna, gli altri figli, gli amici. La musica, le parole,  la creazione di qualcosa che porta emozione e commozione e passione negli altri, i milioni di sconosciuti che cantano, magari da soli, in auto o in camere troppo piccole per contenere tutti quei problemi che sembrano sempre esplodere in ognuno di noi da un momento all’altro.

Ecco che lo sguardo di Dominik  – finalmente – si allarga. Esce fuori dallo studio, passeggia nelle strade, tra le vetrine e le persone, e poi vola vola vola in alto, mostrandoci quell’infinita grande metropoli che è Londra, ma poi ancora più su, tutta l’Europa e il mondo intero, con quello sguardo dallo spazio che, davvero, sembra quello di un angelo, che osserva compassionevole queste esistenze colpite da una perdita così profonda che non si può raccontare, solo vivere. Oppure è proprio lo sguardo di Arthur Cave, che ci guarda tutti da lassù, e osserva scorrere il tempo e le lacrime sotto di lui….

 

I Need You

Niente ti viene regalato

E va bene così

Cosa resta di noi, dei nostri amori, degli attimi vissuti a provare a costruire frammenti di vita, come se ognuno avesse un disperato disegno da completare, nel mondo? Siamo quello che facciamo, che proviamo, ma siamo fatti anche delle nostre perdite, e ogni lacrima che ci esplode dagli occhi sembra volerci raccontare, una volta per tutte, che ogni piccola cosa conta, ogni piccolo momento con le persone che amiamo, ma persino con gli sconosciuti, è un sapore unico e irrinunciabile del nostro passaggio temporaneo da queste parti. E ogni momento va conquistato, contro tutto e tutti ma soprattutto contro il te stesso perennemente distratto da altro, come se la vita fosse sempre qualche altra cosa da raggiungere chissà come e chissà quando, mentre la colonna sonora della nostra esistenza non smette mai di suonare. Siamo qui, ora, e la macchina da presa di Domink volteggia nell’aria, sopra la piccola città, e le persone sono piccole, piccole, ma ancora (già) riconoscibili…

E va bene così

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    Un commento

    • Sparisco dall’Italia per un po’, lo ammetto non vi ho seguito negli ultimi tempi, e appena rientrata, come un dono di bentornata, mi ritrovo sotto gli occhi questo articolo, e giuro che avevo da poco ascoltato questa ennesima meraviglia di Nick Cave, ma….questo articolo mi ha fatto piangere, il disco mi ha scombussolata, e non posso che aspettare che il film esca nelle sale. Mi chiedo perché non scriviate sempre gli articoli con il cuore, come questo signore qui… Grazie!