#Venezia73 – Una questione di nomi?

Siamo stati sempre contenti di andare ai festival e quest’anno Venezia sembra tornare ad avere un sapore migliore. Una panoramica sul programma della nuova edizione.

--------------------------------------------------------------
CORSO COMUNICAZIONE DIGITALE PER IL CINEMA DALL'11 APRILE

--------------------------------------------------------------

Flashback

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

Questa mattina Facebook mi ha segnalato un post di cinque anni fa. Il 28 agosto 2011 condividevo il nostro articolo sul programma della 68esima edizione del Festival di Venezia e commentavo in preda a una sorta di estasi cinefila elencando i nomi dei cineasti che erano presenti in concorso. “Polanski, Friedkin, Sokurov, Ferrara, Cronenberg, Clooney… e la figlia di Michael Mann” diceva quel mio messaggio, di cui mi vergogno anche ma che riletto oggi mi sembra persino riduttivo nel definire un programma che includeva altri autori di lusso (alcuni amati altri molto meno dalla nostra redazione) come Andrea Arnold, Todd Solondz, Ann Hui e Lanthimos. Non nascondo che questo buongiorno social abbia cominciato a condizionare negativamente il mio approccio alla conferenza della mattina, che peraltro arrivava sulla scia di recenti edizioni veneziane tutt’altro che memorabili. Ho pensato a quanto Facebook con i suoi memo e i vari “accadde” sia crudele o ironico seguendo comunque gli stessi principi di sadismo. Mi avviavo alla presentazione del programma di Venezia 73 senza aspettative particolari, con una pericolosa malinconia per quel 2011 che nel giro di un quinquennio ha assunto sempre più contorni mitologici. Devo dire che questa volta mi sbagliavo. Ero caduto nella trappola cinefila/vintage di Zuckerberg e probabilmente dovevo avere più fiducia nel lavoro di Barbera & co.

 

Una questione di nomi

Aspettiamo – come sempre – di vedere i film, ma sulla carta questa edizione dovrebbe piacerci. Ci sembra più rischiosa che negli anni precedenti, con un recupero del cinema di genere come lente attraverso cui intercettare possibili frontiere dello sguardo e della narrazione. “Oggi i cineasti parlano del presente, anche se lo fanno attraverso schemi e generi che sembrerebbero creare distanza, ma in realtà continuano a parlarci dell’eternità, del nostro destino e dell’amore” ha sottolineato il direttore Alberto Barbera. Non ci sembra banale mettere in concorso ufficiale al secondo film l’iraniana cresciuta in America Ana Lily Amirpour – che in Italia venne scoperta dal Festival di Roma di Marco Muller – con un film di “fantascienza” ambientato in un deserto per il quale sono state usate parole molto suggestive. Così come attesissimo sarà senza dubbio un altro sci-fi, Arrival di Denis Villeneuve, attualmente impegnato nelle riprese di Blade Runner 2. Siamo curiosi di vedere questo Brimstone, un western con un cast anglosassone (Guy Pierce, Dakota Fanning) girato interamente in Europa e diretto dall’olandese Martin Koolhoven. Aspettiamo con ansia anche il nuovo film in 3D di Wim Wenders, dopo il colpo di fulmine berlinese di quasi due anni fa di Ritorno alla vita. Il titolo più atteso dalla critica italiana sembra essere Jackie di Pablo Larrain, che a differenza dell’ostracismo con cui Cannes lo ha sempre escluso dalla selezione ufficiale, qui può finalmente contendersi il Leone d’oro. Il film sui quattro giorni successivi all’assassinio di JFK è ancora in fase di montaggio e Larrain accelerà i tempi per portare il suo lavoro al festival, presumibilmente accompagnato dalla protagonista Natalie Portman. Gli amanti di Malick potranno godersi i 90 minuti visionari di Voyage of Time, quelli di Kusturica – se ancora esistono – On the Milky Road, coproduzione Serbia, Gran Bretagna e USA, mentre chi conosce e ama il cinema di Lav Diaz non avrà problemi a misurarsi con le quasi quattro ore di Ang Babaeng Humayo (The Woman who Left). La sensazione è che stavolta Venezia abbia

i-magnifici-settecompiuto un percorso netto a 360°, prendendo opere di giovani cineasti insieme ad altre di autori più affermati e di nicchia, con un occhio anche a grandi titoli/evento hollywoodiani – e non vediamo l’ora di spararci il film di chiusura, il remake de I magnifici sette firmato da Antoine Fuqua. Insomma siamo fiduciosi. E come ormai tradizione veneziana c’è spazio anche per la serialità – che comunque meriterebbe una considerazione ancora maggiore – con l’annunciata anteprima dei primi due episodi di The Young Pope di Paolo Sorrentino.

 

Qualcosa nell’aria

Ora. Il cinema e la concezione festival stanno vivendo una fase transitoria molto particolare. Dovrebbero essere applicati tanti criteri diversi per giudicare la riuscita o meno, forse perfino la necessità, di una manifestazione come quella veneziana. Ma il discorso riguarda tutto il “formato” festivaliero. E anche nella scorsa Cannes avevamo ravvisato una certa stanchezza. Se c’è una crisi di pubblico e di immaginario forse è colpa anche della critica e di una sterilità interpretativa che riduce spesso il giudizio su un programma alla (presunta) appetibilità di titoli o nomi. Ci torneremo su questo tema, provando magari a metterci anche in discussione su più livelli. Forse è arrivato il momento di cambiare prospettiva, di bypassare la questione dei gusti, dei film (e dei nomi) per cercare qualcosa di più urgente e contemporaneo, che non sappiamo ancora definire. Ma siamo stati sempre contenti di andare ai festival. E quest’anno Venezia sembra tornare ad avere un sapore migliore.

 

Il programma ufficiale

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array

    Un commento

    • Sulla carta nettamente la migliore selezione dell’era Barbera. E verrebbe da dire finalmente. Uno sguardo a 360 gradi che mescola impegno e divismo, pellicole di genere e radicalità autoriale, finalmente libero da un certo stucchevole bon ton cinefilo. A voler essere un filo maliziosi si potrebbe dire che Barbera si è “mullerizzato”… Già solo per Larrain e Diaz si potrebbe andare a scatola chiusa. Personalmente curioso per Cianfrance, Villeneuve, Gibson, Amirpour, e il doc italiano