#Venezia73 – Une vie, di Stéphane Brizé

Anche nel buio Une vie è film che cerca insistentemente di riprodurre una “luce”. Ci riesce quasi miracolosamente, sempre. In concorso il bellissimo film di Stephane Brizé.

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Educazione sentimentale alla luce

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È inutile che ci giriamo intorno. Come ha raccontato e sa raccontare i sentimenti il cinema francese non lo sa fare nessun altro. Sarebbe facile convincerci che si tratti di una semplice formula da seguire. Di un canovaccio in formato nouvelle vague in cui basta mettere in primo piano una donna – come se fosse facile reggere un primo piano ed essere all’altezza del volto di una donna nel cinema come nella vita – e farla agire sullo schema di un amore impossibile. I migliori registi francesi sembrano sempre innamorarsi delle donne che filmano – “la femme est la lumiere” ci disse una volta un “illuminatissimo” Mathieu Amalric a proposito dei suoi film interpretati da Jeanne Balibar. Quanta luce cerca Brizé nel volto e nel mondo, mentale, sfiorato, ricordato, di Jeanne! Anche nel buio Une vie è film che cerca insistentemente di riprodurre una “luce”.  Ci riesce quasi miracolosamente, sempre. Ma Brizé sa – come già nel precedente film interpretato da Vincent Lyndon – che nessun cinema e nessuna storia è possibile senza la luce di un corpo e di un volto. La vita raccontata in questa ultima opera sembra soprattutto la nascita, la morte e la rinascita di una luce femminile. E senza Judith Chemla – Coppa Volpi subito! –  il film non sarebbe niente. Brizé ne è consapevole. Per questo fa un film straordinariamente umile e allo stesso tempo assoluto nel suo essere compagno della Donna. Ma del resto senza la Donna tutto il cinema francese non sarebbe niente. A noi va bene così. Amiamo Une vie di Stephane Brizè perché abbiamo ancora bisogno dei sentimenti. E della luce.

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La questione letteraria

Non ho letto il romanzo di Guy de Maupassant da cui è tratto il film. In molti mi dicono essere molto fedele al testo letterario, il che può essere un bene o un male a seconda dei punti di vista. Quello di Brizé è un punto di vista immersivo in cui la  narrazione sembra asciugarsi dentro una prospettiva soggettiva sfocata, frammentata, molto femminile e allucinata. In Italia l’unico nostro cineasta capace di dare una dimensione onirica alla realtà è Marco Bellocchio, che non a caso è anche uno dei pochi registi a essersi intensamente preoccupato di dare una dimensione cinematografica alla narrazione letteraria. Bellocchio sa che la lettura di un libro è di per sé la migliore allucinazione inventata dall’uomo e credo che amerebbe alla follia questo melodramma in costume fosco, estremamente sonoro, che sembra quasi prendere spunto da certe atmosfere gotiche di Emily Bronte o dalle radici più cupe del Truffaut maledetto, quello di Adele H., altra storia di follia e autodistruzione femminile. Il frammento notturno della corsa indiavolata di Jeanne inseguita dal marito fedifrago è un bagliore lunare che mette i brividi, un incubo molto femminile impressionante che squarcia il tempo di un racconto sospeso.

 

Il Tempo

La vita non è né bella né brutta” viene detto a Jeanne al termine del film. Aldo Spiniello mi faceva ricordare come la via crucis della vita di Jeanne non necessariamente è reale. Noi in effetti vediamo quello che la donna ricorda, con improvvise ellissi temporali che assomigliano a rimozioni, buchi neri della memoria. Ancora una volta il film potrebbe essere un’incredibile allucinazione falsata. Oppure potrebbe essere tutto reale e il film dipanarsi sullo schermo come la folgorante visione naturalistica di come sarebbe potuta essere una vita tra il XVIII e il XIX secolo o di quale aspetto potrebbe avere la fedele versione audiovisiva di un romanzo scritto nell’ottocento. A ogni modo Une vie è un viaggio in un altro spazio-tempo. È un film di fantascienza. Perché ci fa vivere in una dimensione reale che per noi oggi è impossibile. Tutto è sintetico. Tutto è eterno. Parallelo. Passato e presente. Grande e piccolo schermo in 4:3. Tutto è Tempo.

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