#Venezia74 – Angels Wear White, di Vivian Qu
Un realismo imploso segna il secondo lungometraggio della cineasta cinese, che però segue troppi personaggi e sciupa tutto nel finale. In concorso
Una cittadina sul mare. Dove il cielo sembra avere sempre lo stesso colore e i rumori si ripetono ciclicamente. Che è lo sfondo immobile di un poliziesco/melodramma imploso. Due giovanissime studentesse vengono violentate da un uomo di mezza età in un motel. Ma Mia, la ragazza che quella notte stava lavorando alla reception, non vuole dire nulla per non perdere il posto di lavoro. Per la dodicenne Wen, una delle due vittime, i guai però sono appena cominciati.
Vivian Qu, al suo secondo lungometraggio dietro la macchina da presa dopo Trap Street, sfocia a tratti verso le zone mistery, forse influenzata dallo straordinario Fuochi d’artificio in pieno giorno di cui è stata produttrice. Ma lo sguardo non è onirico ma tende a mantenersi aderente a un realismo intimo. Molto attenta a descrivere le figure femminili, il suo cinema tende a rappresentare e soprattutto a mostrare i meccanismi della giustizia in Cina, come avviene nel cinema di Dinan Yao. L’indagine, i tentativi fatti da Mia per ottenere un documento, la corruzione, vengono mostrati con un tono spesso in sottrazione, frantumati talvolta da qualche scatto di rabbia come nella scena in cui la madre costringe Wen a tagliarsi i capelli o i trucchi gettati nel lavandino. Si sofferma soprattutto sulle conseguenze delle azioni, attraverso un preciso lavoro nel fuori-campo. Un cinema quindi senza sussulti, ma che a tratti può funzionare. Soltanto che il suo punto di vista non si è messo a fuoco su più personaggi senza approfondirne adeguatamente quasi nessuno, perché forse troppo innamorata dei caratteri costruiti in fase di scrittura. E non si sofferma più a lungo su alcune scene che potevano avere una maggiore intensità, come quella del padre e la madre di Wen divisi da un cancello attraverso cui la donna fa passare una sigaretta.
La rappresentazione della giustizia però poi diventa troppo ‘scoperta’ dalla scena della conferenza stampa della polizia. E soprattutto Vivian Qu sciupa quasi tutto nel finale. Simbolico, con il vestito bianco e la statua di Marilyn Monroe nella celebre posa di Quando la moglie è in vacanza. Dove ha voluto imporre, quasi urlare la sua ‘autorialità’. Mandando parzialmente a monte il tono che ha attraversato buona parte del film.