#Venezia74 – Ha edut (The Testament), di Amichai Greenberg

Se la progressione narrativa manifesta qualche meccanicità di troppo, Greenberg sa ben creare un’atmosfera di forte aderenza emotiva sfruttando un montaggio intermediale di notevole rigore registico

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Gerusalemme, oggi. Yoel è uno storico e ricercatore universitario che studia l’Olocausto, da tempo impegnato in una battaglia legale per ristabilire la verità su un brutale massacro di ebrei avvenuto nel villaggio di Lendsdorf, Austria, sul finire della Seconda Guerra Mondiale. Nel luogo presunto delle esecuzioni, infatti, si progetta di costruire un complesso immobiliare: cosa che implicherebbe l’inaccettabile oblio su quei fatti e l’impossibilità di trovare tracce dell’accaduto. Mentre esamina le molte testimonianze secretate dei sopravvissuti, però, lo studioso ritrova anche un’intervista a sua madre: parlando degli anni della guerra la donna svela un segreto familiare che fa entrare Yoel entra in profonda crisi. Ecco le due traiettorie del protagonista (e del nostro film): una pubblica – la lotta per ristabilire la verità e per salvare un luogo destinato al ricordo -, l’altra privata – l’indagine sul passato della propria famiglia, che mette in dubbio la sua ortodossia religiosa. Come si comporta uno storico quando si muove tra pubblico e privato? E come ci si rapporta a concetti così straordinariamente complessi come memoria (è opportuno edificare un monumento o un museo in quel luogo?) o verità (“la verità è sempre una e assoluta!”, dice Yoel… una convinzione che entrerà pian piano in crisi).

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Il film dell’esordiente Amichai Greenberg mantiene questi due filoni narrativi per larghi tratti separati, creando però un sottile dispositivo di causa-effetto che pian piano li fa collidere. The Testament risulta pertanto un po’ troppo schematico, rinchiudendosi nell’esperienza privata di Yoel come simbolo di un’intera generazione di israeliani che negli ultimi decenni hanno dovuto e voluto fare i conti con la minacciosa rimozione della memoria. E allora: se la progressione narrativa manifesta qualche meccanicità di troppo, Greenberg sa ben creare un’atmosfera di forte aderenza emotiva a Yoel sfruttando un montaggio di fonti e di diverse tracce mediali con notevole rigore registico. Dalle fotografie di guerra alle conversazioni su skipe con le autorità austriache, dalle mappe della zona mutate nei decenni sino all’archivio di interviste dei reduci, il giovane regista tenta un montaggio intermediale che restituisca testimonianza di quell’orribile omicidio di massa. Un punto di vista eticamente inattaccabile.

Questa è una materia personalissima e molto sentita dal regista che, non a caso, racconta proprio l’impossiblità di Yoel di scavare nella memoria collettiva – letteralmente il terreno di Lendsdorf viene in più punti rimosso alla ricerca di tracce del passato – se non ci si riesce a conciliare prima con i traumi privati. Insomma The Testament forse non ha la maturità necessaria per indagare a fondo l’immensa complessità del tema che sceglie di raccontare, ma la sincera e rigorosa indagine del suo protagonista resta impressa nella nostra “memoria”. Un buon esordio.

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