#Venezia74 – Il contagio, di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini

I registi ci mostrano personaggi legati da una disperazione esistenziale ma anche antropologica, imprigionata nelle radici del quartiere che ormai non ha più confini. Giornate degli Autori

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Non sembra esserci più una linea di distinzione nella bella e contorta Capitale d’Italia. Fra i tetti e le cupole che scorrono sotto al Gianicolo ai palazzoni di periferia che si stagliano  imponenti, tralasciando l’aspetto storico-architettonico, in fondo ormai non c’è più tanta differenza. Questo perchè il coatto di borgata tende all’ascesa verso l’attico a Prati e i belli del centro storico si avventurano sempre più in terre periferiche come fossero luoghi esotici da sfruttare.

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Il contagio, tratto dal romanzo di Walter Siti, mette in scena attraverso lo svisceramento di un gruppo di personaggi di una palazzina di borgata, “il contagio” non solo geografico bensi umano fra periferia e centro. La Roma odierna è quindi ritratta nella sua natura ormai nella mani di ricchi affaristi e palazzinari a cui si appoggiano i criminaletti di periferia che entrano perfettamente a far parte del grande meccanismo del potere. Il produttore del film Simone Isola si riferisce proprio a questo, quando ci parla di una politica sempre più coatta che assume certi atteggiamenti tipici degli ambienti periferici anche per sfruttarli dall’interno stesso.  Questa è ormai la capitale: un grande gigante composto di strade e palazzi, accomunati da un sottile manto di decadimento malsano. Una città che sembra essere sempre al tramonto.

Ma nel film di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini sono in primis i personaggi a formare la dimensione della città, a disegnarne le strade, raccolti in questo racconto corale. E il filo conduttore che li pedina e li unisce non è solo quello della mdp ma anche quello del personaggio dello scrittore stesso, interpretato da un magistrale Vincenzo Salemme. L’esplicito alter-ego di Walter Siti non è un narratore distaccato, il suo personaggio è realmente innamorato di Marcello (Vinicio Marchioni), culturista dalla sessualità dubbia sposato con Chiara (Anna Foglietta) e perso nella cocaina. Lo scrittore è coinvolto emotivamente nella narrazione, è nel mezzo fra Marcello e Chiara. Ma è anche l’artefice, il grande occhio che osserva tutto dall’alto, nel mezzo fra la periferia e il centro, perso anche lui nella città. Seguendo le sue parole fuoricampo (tratte dal romanzo stesso) ci accorgiamo che disperazione e solitudine accomunano i personaggi, fra i quali spicca quello dell’attore Maurizio Tesei che interpreta Mauro, spacciatore ambizioso che sogna la svolta che lo porti lontano dal suo Laurentino 38. Nel passaggio dalla periferia al bel quartiere di Prati, l’attore si dimostra abilmente sempre più teso e pieno di nervi,  e il suo cervello ormai è afflitto da pensieri cannibali. Siti/Salemme si concentra su Marcello e Mauro attraverso le parole scritte. Quello che più ci interessava era restituire il tono di certe riflessioni, una certa poesia che emergeva dal libro spiega infatti Simone Isola.
La disperazione che lega i personaggi è si esistenziale, ma andando più nel profondo in prima battuta è una disperazione antropologica, radicata nelle radici dell città e del quartiere ma anche, in un quadro più generale, nel Paese in cui sono nati.

Questa delle periferie romane è ormai una realtà ricorrente nel cinema italiano, basti pensare ai recenti Fortunata e Cuori Puri. Ma proprio per via della sua coralità e di uno sguardo focalizzato sul tema della corruzione politica, il film dei due registi romani potrebbe far tornare alla mente il Suburra di Stefano Sollima. Ma Il contagio si differenzia da quest’ultimo proprio perchè rigetta quello sguardo pop e tendente allo spettacolare, e rimane in un certo qual senso legato a una visione più compressa dei personaggi che compongono questo drammatico affresco umano.

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