#Venezia74 – John Landis, sperimentatore iconoclasta

All’interno del festival il grande regista americano si è ritagliato un piccolo folgorante omaggio, con le strabilianti proiezioni di Tutto in una notte e Thriller 3D.

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In un’edizione veneziana che ha premiato due mostri sacri della New Hollywood come Robert Redford e Jane Fonda, si è ritagliato un piccolo, folgorante omaggio anche John Landis, che di quella generazione ha fatto parte eccome ritagliandosi uno spazio originalissimo e contribuendo a modificare drasticamente immaginario e narrazioni del cinema internazionale e che solo una critica e un’industria miopi potevano prematuramente abbandonare ai lussuosi archivi della rivoluzione postmoderna a cavallo tra gli anni 70 e 80. Non che Landis non sia in buona compagnia in questo limbo di genialità improvvisamente affievolite, per non dire dimenticate dall’establishment. Basti pensare a John Milius, Joe Dante e Lawrence Kasdan, magnifici scrittori/artigiani di un cinema che davvero sembrava riuscire a formulare una sintesi irripetibile tra autorialità, politica e senso dello spettacolo. Kasdan lo ritroviamo persino in uno dei tanti camei di cineasti che compongono il folle Tutto in una notte (Into the Night, 1985), il primo titolo con cui il Festival di Venezia ha reso omaggio al regista di Animal House e Blues Brothers. Il secondo è la mirabolante versione 3D di Michael Jackson’s Thriller, senza dubbio il cortometraggio musicale più costoso e celebre del XX secolo.

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Ma torniamo a Landis, che quest’anno è in laguna nelle vesti di presidente di giuria della sezione Venice Virtual Reality. E forse non poteva esserci incarico migliore da affidare a un autore che davvero ha fatto dello spettacolo e dell’anticonformismo il marchio di fabbrica di una poetica coerente e sempre all’insegna della sperimentazione. Il sottovalutato Into the Night ne è quasi la dimostrazione più limpida, opera incompresa che racconta l’America degli anni 80 meglio di molti altri classici dello stesso decennio e che ribadisce il piglio tipicamente landisiano per la contaminazione dei generi (action, slapstick, commedia sentimentale, noir, horror). Sembra un film della nouvelle vague girato a Hollywood, dove il depistaggio e la metamorfosi del set vanno a braccetto con un’analisi della crisi e della mutazione dei rapporti sentimentali lucidissima e appassionata. “Sono molto legato a questo film perché è stato il mio primo fallimento” ha scherzato con il pubblico prima della proiezione.

coverlgIn effetti nel 1985 Landis – nativo di Chicago, come William Friedkin – aveva ancora solo 35 anni e una escalation di successi e cult movie da far impallidire persino l’accoppiata Lucas-Spielberg, di cui era peraltro fraterno amico e che rispetto a lui lavorava su un immaginario maggiormente epico e costoso, meno punk e iconoclasta. Ridere per ridere, Animal House, The Blues Brothers, Un lupo mannaro americano a Londra, Una poltrona per due – quest’ultimo diventato il film di Natale dell’intero globo, quando in realtà è un lucidissimo trattatello sulla lotta di classe e sull’ossessione capitalista della generazione post-hippie. E poi Thriller. Con l’ego performativo e musicale di Jackson messo a freno dalla grammatica citazionista dei vecchi horror Universal e dall’ipertrofismo orrorifico del formidabile make-up del premio Oscar Rick Baker. Ancora una volta una sperimentazione sul corpo e sull’immaginario. Con Michael Jackson che diventa definitivamente la star del thriller in quanto maschera, identità ritoccata e falsa. Forse l’apoteosi commerciale del Landis touch. Due Grammy e il primo posto assoluto nella lista dei Greatest Music Videos of All times stilata dagli spettatori di MTV. E poi sarebbe arrivata la notte. Into the Night. Jeff Goldblum intontito ingegnere che soffre di insonnia, rimane abbagliato dal fragile carisma di Michelle Pfeiffer e si ritrova involontariamente coinvolto in una rocambolesca fuga da killer persiani e agenti segreti che sembra scritta da Chandler e reinterpretata dai fratelli Marx. Assolutamente folle. Bene ha fatto Venezia a recuperare questa perla semi-dimenticata, riflesso di una libertà creativa che di questi tempi è merce rarissima. Che le sale siano gremite è un bel segnale. Anche perché quello di Landis non è uno dei rari casi in cui una lezione di cinema può diventare divertimento e rivoluzione.

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