#Venezia74 – M, di Sara Forestier

Nel caos della comunicazione e dei flussi di informazione, la Forestier prova semplificare le cose, prova ripartire dai primordi: dalla parola e dalla scrittura. Giornate degli Autori

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Nel caos della comunicazione e dei flussi di informazione non più controllabili, Sara Forestier prova semplificare le cose, prova ripartire dai primordi: dalla parola e dalla scrittura.
Con una storia in bilico tra melodramma e favola urbana, M racconta la vicenda esistenziale di Lila giovane studentessa balbuziente, ma ricca di risorse interiori e di grande talento letterario, che si innamora di Mo, spiantato e pilota di automobili per un giro di scommesse. Il film fonda la propria esistenza sulle fragilità dei due protagonisti per raccontare della forza dei legami sentimentali. Infatti, se Lila non riesce a parlare, Mo non sa leggere e scrivere. La loro storia nasce per caso a dispetto di ogni comunicazione e va avanti con passione. I primi riconoscimenti a Lila per le sueM, Forestier poesie faranno cambiare a Mo atteggiamento. Lui si sente inadeguato e il suo non essere andato a scuola è vissuto come una colpa. Lila saprà ricomporre i legami spezzati.
M è un film che riesce ad entrare nel tema della difficile comunicazione diventando, nel contempo, una bella riflessione sul potere della parola e della scrittura all’interno delle gerarchie relazionali. La bella sequenza in cui Mo è tenuto in pugno dalla ragazzina, sorella di Lila, che prova a insegnargli a scrivere, diventa il paradigma del dominio possibile solo attraverso il potere e la forza della parola. Verbo e scrittura, sentimenti che sembrano non dovere mutare direzione nonostante l’evidente differenza che stavolta non è sociale, ma profondamente culturale. La parificazione della classe sociale di appartenenza serve a sottolineare le differenze che si ingigantiscono quando in gioco vi è il talento personale. Non sappiamo quanto durerà la storia d’amore tra Lila e Mo, ma sappiamo che il loro incontro diventava necessario e in qualche modo le loro esperienze perfettamente combacianti. La giovane regista sa tenere in mano la storia e riesce a imbastire un racconto credibile che dalle mura scolastiche nelle quali, a partire dalle prime sequenze, sembrava ambientato, vira verso un mondo marginale che, senza sfiorare la città e la metropoli diviene, con la sua scarna essenza, sintomo della assenza di relazioni. In questo scenario troviamo padri (quello di Lila è un quasi irriconoscibile Jean-Pierre Léaud) e figlie, madri e figli divisi da un muro invisibile, parole che non escono e vera balbuzie esistenziale oppure l’incapacità a leggere i sentimenti. Sara Forestier, che si fa ella stessa protagonista nel film, alla sua opera prima, dopo le esperienze da attrice, sembra capire bene di cosa parla. Il suo è un cinema che sa dove dirigersi, dentro quella spirale mai forse così a profondo esplorata o forse mai abbastanza, che costituisce il dna dei sentimenti, delle sottili reti che fanno il mondo così complesso, così difficile spesso, da interpretare e nel quale i nodi si sciolgono quando due sguardi casualmente si incrociano restando affascinati l’uno dall’altro.

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