#Venezia74 – Marvin, di Anne Fontaine

Anne Fontaine è affascinata dai personaggi che portano con se una diversità naturale che li porta ad una scelta artistica volta a risolvere in senso positivo la propria vita. Orizzonti

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Anne Fontaine è affascinata dai personaggi che portano con se una diversità naturale che li porta ad una scelta artistica volta a risolvere in senso positivo la propria vita. Così è stato per Coco Chanel, così oggi è per Marvin. l’assunto, in tempi bui di trionfo della cultura bassa, a volte molto bassa, è già stato frequentato da Winspeare in questa stessa sezione di Orizzonti.
Marvin non ostenta, ma neppure nasconde la propria omosessualità. Questa condizione lo isola dagli altri compagni di scuola e soprattutto lo rende oggetto di aggressioni da parte dei bulli che imperversano. Non è differente la situazione nella sua famiglia che vive Marvin, Fontainesull’orlo di un evidente degrado. Ma il futuro riserva a Marvin il riscatto attraverso il teatro che del tutto casualmente lo ha affascinato quando ancora frequentava la scuola.
Anne Fontaine opera su due differenti piani narrativi quello che guarda l’infanzia di Marvin e quello che ci racconta la sua vita a Parigi dopo l’abbandono del suo paese nei Vosgi. I due livelli del racconto si integrano e la regista lavora per lo più sulle assonanze, sui ricordi, sulle suggestioni che hanno segnato l’infanzia e che oggi sembrano ritornare alla mente di Marvin per lo più come un fastidioso rigurgito mnemonico che sembra interrompere il riassestamento della propria esistenza disturbando una salvifica elaborazione del passato.
la regista francese ci offre la visione di un film onesto in cui il racconto si arricchisce di elementi di un reale contingente ed è in questo contesto che compare la carismatica Isabelle Huppert nel ruolo di se stessa. L’attrice diventa una guida speciale per l’aspirante attore soprattutto dopo la morte del ricco Roland che, innamorato di Marvin, oltre ad avere una relazione con lui, provvedeva economicamente anche al suo futuro. È in questo clima che Marvin scrive il suo primo monologo in cui mette in scena la sua vita e che avrà come insostituibile coprotagonista proprio Isabelle Huppert.
Dicevamo che la regista ha realizzato un film onesto, ma spesso l’onestà che è requisito necessario e prodromico di ogni accesso alle relazioni umane e quindi anche artistiche non è sufficiente. Manca a Marvin quel guizzo di genialità che lo possa fare distinguere dalle decine di altre storie che abbiamo già visto e che ci hanno raccontato, in modo altrettanto egregio, ma non indimenticabile, del riscatto da qualsiasi diversità, fosse di genere o di censo, di etnia o patologica. Marvin sembra aggiungersi a questa lista arricchendo il catalogo, ma senza renderlo originale.
L’indubbio mestiere che assiste la regista francese si conferma nella soluzione che trova per differenziare i piani narrativi attraverso un uso differente della luce tra le sequenze che

Marvinraccontano l’infanzia e quelle del più maturo Marvin. Più luminose le prime e quasi costantemente notturne le altre nella Parigi dei locali o degli appartamenti degli amici. Ma ancora tutto questo non sembra essere sufficiente. Marvin è un film in cui i sentimenti, l’afflato che sarebbe necessario, la disperazione, se vogliamo, di Marvin, la sua inquietudine successiva, non sembrano potersi toccare, non si fanno mai materiche sullo schermo. Il film, il racconto, sembrava quasi esigere una sensoriale comunicazione e perfino l’unica scena, intensa, nella quale si consuma un rapporto sessuale non ha la forza di esprimere a pieno il desiderio e la passione che pure dovrebbe tradurre. Su queste coordinate che non si discostano da una consuetudine che prevede di ottenere il minimo risultato senza troppi rischi e soprattutto quello di dispiacere al minore numero di persone possibili, viaggia Marvin. Questa sembra essere una costante, fino a questo momento della Mostra numero 74. Una aurea mediocrità che non scontenta quasi nessuno, che strappa gli applausi e che tiene sempre l’asticella del gusto del pubblico su una condivisione che assicura il successivo passaparola. Una specie di conciliazione generale e di consolazione necessaria.
Quanto a Marvin, il film, saremmo curiosi di vedere questo soggetto nelle mani di qualche autore di quelli che i sentimenti li hanno fatti davvero sempre brillare sullo schermo, qualche nome? magari un Lioret?

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