#Venezia74 – Per capire L’ordine delle cose. Incontro con Andrea Segre

A due passi dall’assolato lungomare del Lido, il regista Andrea Segre ha incontrato un selezionato gruppo di giornalisti italiani per presentare la sua ultima fatica, L’ordine delle cose.

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In uno degli splendidi giardini che si aprono sui canali del Lido veneziano, a due passi dall’assolato lungomare, il regista Andrea Segre ha incontrato un selezionato gruppo di giornalisti italiani per presentare la sua ultima fatica, L’ordine delle cose. Il film, tra le Proiezioni Speciali, sarà presentato oggi al pubblico del Festival per poi arrivare nelle sale nazionali il prossimo 7 settembre. L’ordine delle cose racconta la storia di Corrado Rinaldi (interpretato da Paolo Pierobon) funzionario del Ministero degli Interni, inviato in Libia per risolvere l’emergenza degli sbarchi dei migranti e definire un accordo con le autorità libiche. Un’opera, dunque, di straordinaria attualità ma che arriva dopo una lunga gestazione.Non abbiamo scritto il film pensando all’attualità.” ci spiega Segre.”La prima idea della storia, infatti ci è venuta in mente circa 4 anni fa. Non si tratta di preveggenza ma anche all’epoca c’era la sensazione che qualcosa stesse per accadere. Una situazione del genere, il nostro paese l’aveva già vissuta nel 2008 e i segnali che quei temi potessero ritornare erano abbastanza evidenti. Il nostro film, comunque, non vuole parlare solo di semplice cronaca ma voglio credere che abbia anche obiettivi più ambiziosi.

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I produttori, per accompagnare l’uscita del film, hanno deciso di realizzare un piccolo volume che, dopo la visione del film, possa aiutare il pubblico a orientarsi. Una” guida di riflessioni” di cui il regista veneto va molto orgoglioso: “L’idea di abbinare l’uscita del film con la pubblicazione di un pamphlet dove sono intervenute firme illustre come Luigi Manconi e Ilvio Diamanti, nasce proprio dalla volontà di allargare l’esperienza umana dello spettatore. Dopo aver visto il film, infatti, consiglio di leggere questo piccolo documento per poter raggiungere una nuova consapevolezza e, finalmente, cominciare a farci le domande giuste.”

L’ordine delle cose ha il coraggio di raccontare il mondo sommerso dei meccanismi burocratici e statali che governano i rapporti tra l’Italia e la Libia. Il film è nato dunque, da un grandissimo lavoro di ricerca: “Per creare il personaggio di Corrado e inserirlo in un contesto giusto, i miei collaboratori ed io abbiamo fatto un grandissimo lavoro di ricerca che si è focalizzato su due fronti. Il primo è stato quello dell’apparato umano che sulle coste siciliane affrontano quotidianamente l’emergenza. Parlare con poliziotti e funzionari del ministero degli interni, su vari livelli delle gerarchie statali, è stato illuminante. La grande difficoltà che avevamo di fronte, infatti, è stato rompere la superficie mediatica che impedisce a tutti noi di conoscere veramente la realtà degli sbarchi. Gli uomini che abbiamo incontrato, su cui abbiamo modellato il personaggio di Corrado, sono come scissi. Da una parte un’umanità pronunciata, dall’altra la spietatezza del ruolo che rivestono.”

L’altro fronte è stato quello libico.” continua Segre. “Non abbiamo potuto girare in Libia, le riprese “africane” si sono svolte tra la Sicilia e la Tunisia, ma grazie alla testimonianza di videoreporter libici e delle 300 comparse che hanno davvero vissuto l’esperienza dei centri in Libia abbiamo raggiunto un livello di veridicità, di autorevolezza di cui sono molto orgoglioso. E’ stato emozionante ascoltare queste storie e siamo onorati che loro abbiamo scelto di aprirsi con noi.”

Data la sua importanza tematica, il film rimanda chiaramente al nostro Cinema civile, collegamento dichiarato anche dallo stesso autore: “La citazione iniziale da Le mani della città è il nostro omaggio a una stagione cinematografica che portava il nostro Cinema a riflettere lucidamente sulla realtà che ci circondava. Non vogliamo fare cambiare idea al nostro pubblico ma vogliamo far riflettere, aprire nuove prospettive. Io stesso prima di fare il film non mi ero posto delle domande che ora trovo fondamentali. Non importa il credo politico o il mestiere dei nostri spettatori. Ci basta che, anche solo per un minuto, dentro di loro si apra un dubbio, una spinta a capire.

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