#Venezia74 – Sarah joue un loup garou, di Katharina Wyss

Katharina Wyss mette in scena la storia di Sarah, diciassettenne in fuga da un pericolo esterno a se stessa, da cui può liberarsi solo con la pulsione dell’amore e della morte. In SIC

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Sarah joue un loup garou. Tradotto letteralmente il titolo del film della regista svizzera Katharina Wyss significa Sarah gioca al lupo mannaro. Sarah (Loane Balthasar) è una bella ragazza di diciassette anni, viene da una famiglia agiata, ha un fratello maggiore che adora e una sorellina più piccola.

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Il lupo mannaro è la figura più tormentata fra le creature mostruose di fantasia, molto più del vampiro, se ci si pensa. Il lupo mannaro è condannato ad una perenne trasformazione fisica, come un adolescente, in quegli anni di vita in cui non c’è pace sia per il corpo che per la mente. Ma Sarah ha un problema che va al di là della semplice età, un pericolo esterno da cui non riesce a mettersi al riparo, qualcosa che la ripugna ma di cui al contempo non può fare a meno. Qualcosa come la luna per i licantropi.

Il pomeriggio frequenta il liceo e il corso teatrale pomeridiano. L’ insegnante spinge i suoi allievi a trovare un testo originale da portare in scena, e quindi li esorta a spremere la loro l’immaginazione.
Sarah ha moltissima immaginazione e prova a usarla per fuggire dal suo tormento. Si figura nelle vesti di un’eroina romantica, e allora si lascia trascinare dalla musica di Wagner e dai racconti su Sigfrido con cui il padre la seduce. A scuola è la prima a rispondere quando la professoressa chiede cosa sta a simbolizzare il pugnale con cui la bella Giulietta si toglie la vita, dopo essersi svegliata e aver trovato Romeo morto accanto a lei. Trafiggendosi Giulietta compie una sorta di penetrazione erotica, e con questo atto d’amore per raggiungere chissà dove il suo Romeo, supera la paura della morte. Morte e amore, legate perchè in entrambe si riesce a trovare la liberazione da se stessi. Non fu forse Georges Bataille a parlare dell’erotismo in questi termini?  Non a caso il filosofo francese ritorna più volte nel film, perchè Alice, compagna di scuola di Sarah, lo legge ossessivamente.  Sarah non riesce a trovare la sua liberazione in niente e nessuno e quindi non può che cercarla in una delle due, morte o amore.

Le due pulsioni quindi tornano costantemente nel film della Wyss, che dirige la sua giovane e inquieta attrice passo dopo passo. Sarah non trova mai pace, al corso di teatro ma soprattutto a casa e il suo è un lento progredire verso un’inevitabile follia. E qui la Wyss entra in punta di piedi nel genere, restituendo a momenti certi battiti dell’horror, e Sarah, anche se diversissima da lei, ci ricorda per un attimo la Carrie di Brian De Palma. Sola e persa fra i malvagi. 
Sarah ha solo un rifugio: una grotta dai muri incisi da scritte di giovani innamorati. La grotta è in un bosco, luogo preferito dai lupi mannari, lontano da tutti dove trasformarsi in pace.

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