#Venezia74 – The rape of Recy Taylor, di Nancy Buirski

Il lavoro della regista americana non convince e non incanta, non arriva a mai ad un apice da farlo diventare materia assoluta, mai a dare complessivo significato di rivolta. Orizzonti

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Nel maggio del 1944, nel sud degli Stati Uniti, in Alabama, una ragazza di 24 anni, ma già madre di una figlia, al ritorno dalla chiesa del villaggio nel quale viveva, viene violentata da sei giovani bianchi. I loro nomi erano conosciuti poiché la vittima li aveva individuati e denunciati, ma non venne mai celebrato un processo, né mai fu loro inflitta alcuna una pena per il male commesso. Recy Taylor ebbe la solidarietà di Rosa Park, la donna che The rape of Recy Taylorrifiutò di alzarsi dal posto sull’autobus per dare spazio ad una bianca. Il film documentario di Nancy Buirski racconta questa storia ricostruendo il clima di quegli anni attraverso le dichiarazioni dei fratelli di Recy e di pochi altri. Quando il film è stato girato Recy Taylor era ancora viva tanto che il film si chiude sulla protagonista dei fatti raccontati che vive con i suoi acciacchi in una casa di riposo.
Per quanto la premessa possa essere superflua è bene anticipare che qui si parla del film e non certo della storia, non certo della brutalizzazione di Recy Taylor che, come ogni altra violenza di questo tipo resta esecrabile e mai giustificata da alcuna circostanza.
Ciò premesso e quindi tornando a The rape of Recy Taylor, per la sezione Orizzonti, non si può non rilevare il suo accodarsi a decine e decine di altri film che hanno rievocato piccoli o più rilevanti fatti di cronaca accaduti nel mondo. Purtroppo il lavoro della regista americana, sempre molto attenta nella sua attività artistica al mondo femminile, non convince e non incanta. La drammatica storia di Recy Taylor, purtroppo comune in quegli anni a moltissime altre negli Stati Uniti, tanto da costituire un reato quasi tollerato e giustificato dal senso comune a causa della discriminazione razziale, non arriva a mai ad un apice tale da riuscire a diventare materia assoluta, mai a dare complessivo significato di

????????????????????????????????????rivolta.
Nota di merito che va riconosciuta è quella di avere citato, nell’occasione, un certo cinema, diretto soprattutto al consumo da parte della comunità nera, che raccontava episodi come questo o dove comunque il razzismo costituiva l’origine dei fatti che si vedevano sullo schermo. Questi film che prendevano il nome di “race movie” diventavano una specie di instant movie che però finivano per acuire i già complicatissimi rapporti tra le due comunità.
Non vi è dubbio, per il resto, che l’autrice abbia lavorato su una evidente scarsità di materiali dell’epoca e questo ha condizionato il suo film, ma forse il difetto maggiore in un’oprea del generedel genere è quello di non essere riuscita ad inventare quasi nulla nella produzione dei suoi materiali. Le interviste, ad esempio, tutte recentissime poiché realizzate in occasione del film non hanno alcuna originalità e assomigliano alle decine di altre interviste viste in televisione o al cinema. Nancy Buirski si è purtroppo adagiata su una convenzionalità non giustificata, quasi ad ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. The rape of Racy Taylor risulta così un film privo di nervi sensibili e quel più manca, purtroppo è l’emozione che solo di rado sembra attraversare la sala che alla fine, quasi sicuramente, applaude Recy Taylor e alla sua sfortunata vita, piuttosto che al film.

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