#Venezia75 – Dragged across concrete. Incontro con S. Craig Zahler e Vince Vaughn

Il regista parla della volontà di portare avanti un cinema originale, contemporaneo e brutale, che non cerchi di accontentare nessuno, tranne sé stesso. Fuori concorso al Lido

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Dopo aver presentato Brawl in Cell Block 99 l’anno scorso a Venezia – sempre insieme al suo wingman, Vince Vaughn – il regista statunitense S.Craig Zahler torna al Lido con Dragged across concrete – fuori concorso-  trascinando un’altra volta l’attenzione verso un cinema concreto e brutale, e svegliando la curiosità dei presenti all’incontro stampa, che innanzitutto vogliono sapere: cosa voleva dire con questo titolo? Accanto agli attori Vince Vaugh e Tory Kittles, il regista non risponde alla prima domanda lasciando sospeso il mistero, per poi allungarsi sulla sceneggiatura, su Mel Gibson e Jennifer Carpenter- che brillano nella loro assenza, sui riferimenti cinematografici e letterari, sul razzismo e i dialoghi “politicamente scorretti”, su come portare avanti un cinema intimo ma universale, che non solo guarda verso l’immaginario cinematografico del passato ma vuole anche creare una dinamica fresca, contemporanea, un universo tutto suo.

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Zahler inizia il suo racconto di modo concreto, preciso, aneddotico:Se provaste ad andare nel mio appartamento a New York, la prima cosa che trovereste all’entrata sarebbe una locandina di The Killer di John Woo. Poi, sicuramente qualche romanzo di Jim Thompson. I miei film hanno tutto ciò che io vorrei vedere e anche pezzo di quello chi amo, di Dog Day Afternoon, di Prince of the city, dei film che vidi mille volte da  bambino e ho sempre in mente. Poi, mi piace anche mettere la mia visione, storie collaterali che vadano oltre il plot centrale – come quella del personaggio di Jennifer Carpenter – far vedere i dettagli dei personaggi, da dove vengono, dove vogliono arrivare”.  

Vince Vaughn ascolta attentamente, finché qualcuno gli chiede pareri sul suo partner in crime, Mel Gibson: “È sempre un grande piacere lavorare con Mel, avevamo già lavorato insieme, in Hacksaw ridge, è soprattutto un grandissimo regista. Anche Zahler è fantastico, ha un punto di vista molto particolare, non compromette mai la sua visione del mondo, ha le idee molto chiare ma allo stesso tempo non è chiuso, ci ascolta e va avanti in modo naturale. Visto che ho una storia con entrambi, è stato molto facile fare questo film”. L’attore Tory Kittles è anche entusiasta. Per lui, il vero colpo di fulmine è stato il primo incontro con la sceneggiatura: “mi ha preso subito, follemente, ho cominciato a leggere a mezzanotte e non l’ho lasciata più. Non potevo fermarmi. Ciò che mi ha conquistato è stata la sua originalità”.

Così, all’improvviso, la sceneggiatura diventa il centro dell’attenzione. Interrogato un’altra volta sul suo processo creativo, Zahler racconta: “Per me la chiave ed essere in grado di sorprendere me stesso ogni giorno. Quando mi metto a scrivere nemmeno io so bene come andranno a finire le cose, cosa succederà con i personaggi, se quello che pensavo ce l’avrebbe fatta, invece morirà. Vivo il processo e mi metto nella testa dei personaggi, nei loro cambiamenti. Cosa direbbero, come lo direbbero, quello che dicono e ciò che non rivelano mai, senza cadere nei dialoghi scontati. Devono essere dei dialoghi realistici, e l’unico modo di farli diventare reali non è la sceneggiatura ma la bravura degli attori. In questo caso tutti, non solo i protagonisti ma anche Don Johnson, Jennifer Carpenter, hanno fatto un lavoro fantastico”. Poi, il regista condivide un numero che rende l’idea abbastanza chiara: “Soltanto per dire, questa sceneggiatura l’ho riscritta 15 volte, prima d’arrivare a quella giusta”. 

Tornando ai riferimenti e a The Killing Prince of the city, Zahler nomina anche Cassavetes come fonte d’ispirazione e approfondisce sull’idea di rendere il cinema una esperienza umana più grande, dove si possono mettere tante cose diverse insieme: “Nel film ci sono tanti personaggi diversi, che hanno diversi background, che si incrociano e arrivano allo stesso punto ma per diversi motivi, e cominciano a costruire un mondo, sia privato che collettivo”.

Un giornalista tira fuori una battuta del film, dove la moglie del personaggio di Mel Gibson afferma: “Io sono una persona molto tranquilla e aperta, ma questo quartiere mi fa diventare razzista” Poi, interroga al regista sui dialoghi “sopra le righe”, forse “offensivi”, che toccano afroamericani, latini, italiani emigranti. La risposta è abbastanza concisa: Io scrivo quello che voglio dire, senza fare caso alle reazioni delle persone. Soltanto quello che penso sia la voce del personaggio. Ad alcuni piacerà, altri forse mi odieranno. Io  voglio solo realizzare la versione migliore della mia idea”.

Arrivando alla fine dell’incontro, qualcuno alza la voce e fa un ultimo tentativo: Ma allora, cosa vuol dire il titolo? Il regista non molla: “Meglio se non ti rispondo, quella è la cosa bella. C’è qualche traccia nascosta ma non la condividerò, la prossima volta che vedrai il film lo scoprirai te stesso”. 

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