#Venezia75 – Frères Ennemis, di David Oelhoffen

Intenso polar ambientato nella comunità marocchina della periferia parigina. Con una grande interpretazione di Reda Kateb. In concorso.

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L’inquadratura finale del film si allarga dalla strada verso i grattacieli che la circondano nel cuore di una notte di sangue, che è visiva e simbolica al tempo stesso. Frères Ennemis è innanzitutto un film composto da traiettorie di quartiere che sanno di marciapiede, cemento, garage sotterranei, piazze e residence alveari. I personaggi si muovono in questi spazi come fossero in gabbia e la macchina da presa li filma sempre a distanza di pochi metri, braccando le loro fughe e i regolamenti di conti. Del resto i legami con l’ambiente di origine e con la Francia periferica degli immigrati di seconda e terza generazione non si chiudono mai. Ne sa qualcosa Manuel, ladro e spacciatore insieme ai suoi compagni di infanzia di una comunità marocchina nella periferia di Parigi, e soprattutto Driss che a differenza dei suoi amici ha deciso di passare dalla parte della polizia e di diventare un investigatore della narcotici. Quando Manuel riesce a sopravvivere a un’imboscata in cui perde la vita il suo migliore amico, avrà bisogno di Driss per scoprire i mandanti dell’omicidio.

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Storia di amicizia, spaccio, tradimenti e vendetta. Nella capacità di immergere la dinamiche del cinema di genere dentro sfumature intime e sociali Frères Ennemis segue le tracce dei grandi film di Jacques Audiard. E non è un caso infatti che i due protagonisti siano proprio due volti/corpi già utilizzati dal grande cineasta francese – il formidabile Reda Kateb aveva un ruolo ne Il profeta, mentre Matthias Schoenaerts era il protagonista maschile di Un sapore di ruggine e ossa. Impressionante soprattutto l’intensità calda e allo stesso tempo trattenuta di Kateb, già protagonista di un precedente titolo firmato da David Oelhoffen, il western astratto Loin des hommes. Il discorso sui legami di sangue e sulla famiglia ricorda invece le atmosfere tragiche di James Gray. E sono, questi, riferimenti molto alti e certamente ingombranti per un film che però ha il merito di trovare una propria dimensione emotiva e di registrare alcuni momenti di grande potenza: come, ad esempio, la prima imboscata raccontata tutta dalla prospettiva adrenalinica di Manuel, il suo commiato straziato alla ex compagna e la magnifica scena di Driss che passa a salutare i genitori e viene allontanato dal padre.

Oelhoffen cura a fondo una tessitura che è prevalentemente psicologica e spirituale e confeziona un film proiettato ad altezza d’uomo sia nelle scene action sia in quelle private. I meccanismi del polar vengono rispettati e allo stesso tempo sfumati in una sempre più labile contrapposizione tra bene e male, amico o nemico. E alla fine gli unici sprazzi di luce, in questa cupa storia di gangster e poliziotti ossessionati dall’onore e dilaniati dal senso di colpa sono forniti dai personaggi femminili, madri e mogli obbligate a sopravvivere alla regola del gioco e ai suoi morti. Sono anche loro il controcampo sentimentale che scioglie Frères Ennemis in una qualità umanista differente e preziosa.

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