#Venezia75 – Il bene mio, di Pippo Mezzapesa

Una ghost-story che parla di morte con un’immediatezza sorprendente ancora radicato agli elementi della terra. Con Sergio Rubini libero come l’aria. Evento speciale alle Giornate degli Autori

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Ancora il vento e la terra. Da Il paese delle spose infelici a Il bene mio il cinema di Pippo Mezzapesa fa sentire sulla pelle la materia fisica della sua terra. Stavolta nelle zone di Provvidenza, paese distrutto dal terremoto dove c’è rimasto solo un ultimo abitante, Elia. Il Sindaco cerca in tutti i modi di costringerlo ad abbandonare il paese. Lui però non ne vuole sapere soprattutto quando all’improvviso inizia ad avvertire una strana presenza.

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Una ghost-story, un cinema popolato da spettri. Con l’illusione iniziale di un pannello in apertura con la piazza di Provvidenza prima del terremoto che nasconde in realtà soltanto le sue macerie. Un ottimo Sergio Rubini sembra quasi un fantasma ‘burtoniano’ tipo Beetlejuice di un luogo abbandonato, un non-morto. Tutti gli altri personaggi invece potrebbero essere delle sue proiezioni soggettive.

Il suono della terra, come in tutto il cinema di Mezzapesa, ha un’importanza fondamentale. Qui ribadito anche dalla citazione/visione di Balla coi lupi di Costner. Un altro film parallelo che rimbomba nella testa. I rumori del vento (ancora un velo portato via) ma soprattutto quelli delle oscure presenze prima della scoperta della giovane ragazza in fuga diventano una traccia fondamentale e rendono Il bene mio un film sul lutto astratto, che fonde l’allucinazione con la realtà, che s’innalza verso il cielo ancora come traiettoria western. Al tempo stesso sembra anche di avvertire le presenze nella città dei morti a cominciare da Maria, la moglie del protagonista. E le uniche figure reali sembrano essere soltanto quello dei turisti che, con Gesualdo (Dino Abbrescia), vecchio amico di Elia, vengono a visitare il luogo.

Il cinema di Mezzapesa parla ancora di morte con un’immediatezza sorprendente come nell’ultimo bellissimo corto La giornata su Paola Clemente, la bracciante pugliese di 49 anni morta di fatica sotto il sole del 13 luglio del 2015. E si sofferma su due termini-chiave dell’elaborazione del lutto: ricordare o dimenticare. Tutto lo scarto tra Provvidenza distrutta dal terremoto e il nuovo paese. Ma mescola sapientemente anche situazioni comiche come in Pinuccio Lovero – Yes I Can. Con Sergio Rubini che sembra leggero come l’aria. Che cambia anche faccia. Corpo. Dal giorno alla notte. Gli occhiali ritrovati, rotti e poi aggiustati, potrebbero essere uno squarcio. E quando cala l’oscurità, ecco alcuni dei momenti più belli del film: l’arrivo dei ragazzi in motorino. Con quei fari nella notte come i motociclisti sul racconto in Roma di Fellini. Altra traiettoria di un cinema illusionista e imprendibile.

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