#Venezia75 – La profezia dell’armadillo, di Emanuele Scaringi

Scaringi coglie le sfumature di un fumetto e non perde la voce dell’artista, l’aria che si respira fra le sue pagine: un’aria malinconica ma mai volta all’autocommiserazione. Orizzonti

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C’è voluto un po’ di tempo prima che La Profezia dell’Armadillo  diventasse un film. Emanuele Scaringi, al suo secondo lungometraggio, arriva a Venezia carico di grandi responsabilità: gli occhi dei fan puntati addosso e il semplice fatto che dell’adattamento del fumetto di Michele Rech, in arte Zero Calcare, se ne parlava da un bel po’.

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La Profezia dell’Armadillo esce nel 2011 e in pochissimo tempo riscuote grande successo tanto che viene ristampato cinque volte. Il perché è semplicissimo: si ride subito moltissimo ma tutto inizia con la Morte, quella di Camille, primo amore di Zero. Capiamo presto che siamo di fronte a dei contenuti complessi e non ad una superficie piatta di bei disegni. Un immaginario nuovo, diversi piani di lettura  che si accavallano elegantemente uno sopra l’altro mentre ridiamo e ci liberiamo. Sul piano del linguaggio Zero Calcare è abilissimo e guai a lasciarsi ingannare dall’apparente semplicità di quello figurativo: i disegni non sono arzigogolati ma comunque incredibilmente carichi di espressività, frutti della mente di un fumettista che mette su carta un mondo pieno di bizzarri personaggi. C’è l’Armadillo, amico immaginario del ragazzo, ci sono i centri sociali, la periferia, la casa disordinata, i plum cake. C’è il migliore amico Secco, giocatore seriale di poker online, l’amico sessuomane Cinghiale, la madre di Zero che ha le fattezze di Lady Cocca, celebre dama di compagnia della Lady Marian Disney. C’è Blanka, ragazzino a cui Zero fa ripetizioni, di cui si sente mentore e presuntuoso salvatore. Bisogna guardare I Cavalieri dello Zodiaco e non Yu-Gi-Oh, L’odio e non Romanzo Criminale. Quelli erano tempi, non questi…Quella di Zero è una generazione nostalgica e quindi inevitabilmente un po’ immobile, poco dinamica, facile all’imbrutimento. Lo sfondo è Roma, città statica per eccellenza, museo formicolante. E a Rebibbia, dove il fumettista è cresciuto è nascosto, ancora una volta cristallizzato, giace lo scheletro di un Mammuthus.

C’è molto nel fumetto di Zero Calcare, e fra tutti La Profezia dell’Armadillo è sicuramente uno dei migliori, per l’accordo della storia principale, la morte di Camille, con le vignette della quotidianità. Scaringi riesce nell’impresa di trasporre cinematograficamente i due piani del fumetto, aiutato da Simone Liberati nei panni di Zero Calcare, dal bravo Pietro Castellitto in quelli di Secco, e da un bellissimo Armadillo, vivo dell’interpretazione di Valerio Aprea. Ma il vero merito di Scaringi, ciò per cui gli siamo grati, è quello di non tradire le sfumature di questo fumetto complesso. Il vero rischio non era perdere qualche personaggio o di non ritrovare la vignetta amata.  Era quello di perdere l’intento profondo, la voce dell’artista, l’aria che si respira fra le sue pagine, un’aria malinconica ma potente e mai volta all’autocommiserazione. Sì, forse il film di Scaringi, al contrario dell’opera da cui è tratto, soffre di un’oggettiva mancanza di forza, di un’incapacità di imprimersi nel tempo che verrà. Ma ci basta che ci sia anche solo un pezzetto del cuore de La profezia. E Scaringi ci piace anche solo per non aver tralasciato un evento fondamentale nel fumetto: Genova e il G8, costante che ritorna sempre nell’opera del fumettista. La Genova dove Zero e Secco vengono picchiati dalla forestale, dove è morto un ragazzo segnando un vero e proprio punto di non ritorno.

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