#Venezia75 – L’Heure de la sortie, di Sébastien Marnier

L’Heure de la sortie di Sébastien Marnier inserito nella sezione Sconfini al Festival del cinema di Venezia è un thriller fantapolitico che affronta temi che vanno dall’educazione all’ecologismo

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Un tragico incidente nel prestigioso collegio di Saint Joseph, con uno dei professori che tenta il suicidio, porta Pierre Hoffman (Laurent Lafitte), l’insegnante chiamato a sostituirlo, a contatto con una classe di studenti dotati di un’intelligenza molto al di sopra della media ma che insieme alle indubbie qualità nascondono dei lati oscuri molto inquietanti. Arrivato al secondo lungometraggio dopo Irréprochable, Sébastien Marnier riesce a portare sul grande schermo alcuni dei generi che ne hanno plasmato la forma mentis, e confeziona un cocktail di thriller psicologico amalgamato insieme ad ampi spunti fantascientifici ed horror, ricco di citazioni che vanno dal carpenteriano Village of the Damned, fino a Twin Peaks di David Lynch. Il tutto dentro l’orizzonte della scuola, tema per eccellenza della filmografia francese, in cui però stavolta il lato educativo solitamente inteso passa in secondo piano per fare posto ad una riflessione più aperta che coinvolge in toto l’uomo nel rapporto con l’ambiente.

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Quello ecologico è un argomento che l’autore utilizza per pilotare un discorso di angoscia esistenziale, in quello che vuole essere un campanello d’allarme per un pianeta ormai allo stremo, inserito in una terra come la Francia dove la presenza di numerose centrali nucleari mette a repentaglio l’incolumità delle persone e rappresenta una perfetta culla d’inquietudine per dei ragazzini che in quello ed in altri raccapriccianti segnali di crudeltà umana coltivano il disgusto per la vita. Preoccupata invece di tutelare sopra ogni altra cosa il suo buon nome, con gli istituti ridotti generalmente a seguire logiche aziendali di profitto, la scuola viene descritta come sintonizzata su un canale diverso rispetto agli studenti, salvo rare eccezioni, tra cui il protagonista, che nel vulnus della precarietà di supplente, trova quella motivazione assente nei colleghi di lavoro.

Sébastien Marnier ed il cast

Se ad un’analisi puntigliosa si possono rintracciare probabilmente eccessi di scrittura per un surplus di argomenti e per un arco narrativo irregolare, la formula vincente il regista la ottiene diluendoli in una tensione molto efficace che lascia positivamente sorpresi per alcune soluzioni inaspettate, ma molto, molto plausibili.  Altrettanto riuscita è la scelta dei personaggi che interpretano i bambini tutti dotati di volti di notevole espressività e che con le loro storie adolescenziali aprono la narrazione su un mondo che del futuro è il primo destinatario, e nelle scelte del presente, irrazionali, incoscienti, il solito percorso generazionale che passa di padre in figlio nella ripetizione dei medesimi errori, delle stesse paure, deve costruire il testimone da consegnare ai posteri. Una discendenza sempre più smarrita, disorientata dentro un lucido piano di distruzione che ne assimili i corpi alla deriva catastrofica che nell’immaginario del regista sembra essere irreversibile.

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