#Venezia75 – Sulla mia pelle, di Alessio Cremonini

La pelle è l’urlo di denuncia di Cremonini. Ma la nostra rabbia necessitava di maggiore chiarezza. Un processo alla banalità del male che ha ucciso Stefano Cucchi. Apertura di Orizzonti

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La sera del 15 ottobre 2009 Stefano Cucchi viene arrestato per spaccio e non torna a casa mai più. Proprio nel luglio dello stesso anno quattro poliziotti venivano condannati a tre anni e otto mesi di reclusione con l’accusa di aver pestato e ucciso, quattro anni prima, Federico Aldrovandi. Un anno dopo il giovane ferrarese, moriva anche il triestino Riccardo Rasman, per mano di tre agenti di polizia. Continuando a contare gli anni sulle dita, andando indietro e andando avanti, sono troppi i casi di cronaca legati al reato di tortura e abuso di potere da parte delle forze dell’ordine. Ma il punto in comune rimane sempre lo stesso, un unico concetto domina schifoso: il potere bieco e poverello. La sicurezza stupida del privilegio e del gradino più alto.

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Alessio Cremonini apre la sezione Orizzonti con Sulla mia pelle raccontando agli spettatori gli ultimi giorni di Stefano Cucchi, dall’arresto fino alla morte lenta per pestaggio e incuria. Intanto segue i genitori, insiste sui tentativi sempre più smarriti di vedere il proprio figlio; presenta a piccoli passi la sorella Ilaria e la sua insofferenza crescente, lasciandoci intendere la grande battaglia che tutti conosciamo. Stringiamo i braccioli della poltrona e ci agitiamo. Il film ci guasta i pensieri che hanno il dovere di esser neri, ancora una volta impotenti di fronte ai fatti. Ma qualcosa nel film di Cremonini che ci lascia perplessi, forse abbiamo bisogno di guardare meglio negli occhi questo potere vigliacco. Ovviamente tutto è difficile da ricordare, figuriamoci da riprendere e  mostrare. Cucchi è una ferita ancora così aperta che sanguina appena ci si ripensa. Occorre scegliere la precisa angolazione attraverso la quale raccontare i fatti, non perdersi in mostruosità morbose e rendere giustizia. Calibrare l’impatto della violenza. Trovare il giusto grado di lontananza dai fatti.

È proprio nel timore di perdere questa distanza Cremonini smarrisce la via e si perde fra il film di denuncia e il racconto del contesto familiare. Percorre con chiarezza e precisione la dinamica dei fatti, i giorni e i luoghi. La denuncia prevale, il regista documenta da vicino il corpo stremato e livido di un bravissimo Alessandro Borghi, trasformato e smagrito, dalla voce insofferente e incredibilmente simile a quella del giovane ragazzo di Tor Pignattara. Le ferite cambiano e peggiorano giorno dopo giorno, il colore delle ecchimosi si trasforma trasferimento dopo trasferimento. La situazione non migliora, come dice un detenuto a Stefano il dolore è traditore, arriva lentamente. Cremonini sceglie il corpo per denunciare, la prima prova dei familiari della vittima: la pelle così livida e lampante ignorata da tutti quelli che si sono inevitabilmente trasformati in carnefici. Forse è proprio questo il punto. La nostra rabbia necessitava del corpo ma anche di un urlo a gran voce attraverso le armi del cinema. Quando si denuncia bisogna urlare il colpevole, puntare il dito senza timore, perseguire lo scopo senza perdersi. Un processo che il cinema aveva tutta la forza per intentare, un resoconto dettagliato di quella banalità del male che ha colpito miseramente Stefano Cucchi.

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