#Venezia75 – Un giorno all’improvviso, di Ciro D’Emilio

L’opera prima di D’Emilio ritrae l’esordio alla vita adulta di Antonio, attraverso lo stacco dalla figura materna come bussola essenziale, per poter aprire un sentiero, una vita propria. Orizzonti

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Antonio (Giampiero De Concilio) ha sedici anni e il sogno di diventare calciatore. Cammina in mezzo alla campagna napoletana con il sole in faccia, trascinando un rastrello per la terra fertile e secca, per poi fermarsi a osservare i limoni e prenderne uno; forse non il più bello né giallo, ma sicuramente il più maturo. La macchina da presa lo segue sempre da vicino, quasi in modo soffocante, riprendendo un percorso quotidiano che potrebbe essere anche una via verso la maturità, la scoperta, la perdita graduale – mai totale – dell’innocenza. Forse si tratta soltanto di un momento di pace, un respiro in mezzo all’irrequietezza della crescita. Ma proprio come un rastrello, i passi di Antonio lasciano una scanalatura che sembra più grande di lui, la traccia di una storia presente, di una ferita a terra aperta che si nasconde sotto la polvere.

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Un giorno all’improvviso, opera prima di Ciro D’Emilio presente nella sezione Orizzonti – seguendo la traccia di altri film italiani esordienti come Manuel di Dario Albertini (Venezia 74) e Saremo giovani e bellissimi di Letizia Lamartire (Venezia 75) – ritrae l’esordio alla vita adulta attraverso la perdita della figura materna come bussola essenziale, come forza di gravità. Mentre prova ad aprirsi un sentiero vero e proprio a Napoli – dove il calcio e il senso di squadra diventano l’unica mobilità possibile – Antonio si prende cura della sua problematica e psicologicamente instabile madre, Miriam (Anna Foglietta), con cui al di là di tutto ha un bellissimo rapporto di complicità. Sembra che lui cammini su una corda, guardando sempre davanti e lottando per non perdere l’equilibrio; il suo quotidiano è un costante incontro tra diverse forze della natura – la madre e le sue crisi nervose, gli amici che gli chiedono tempo e attenzione, le pretese del suo primo amore, la figura pendolare di un padre assente che arriva e poi torna indietro – che lo spingono in direzioni contrarie. Ma anche se lui sa bene dove vuole arrivare, a volte i venti sembrano soffiare troppo forte, destabilizzando il cammino e rischiando di fargli perdere il senso d’orientamento, la traccia del sentiero, il suo personale nord. Ma così come la machina da presa non lo perde mai di vista, Antonio continua a guardare davanti, a fissare gli occhi all’orizzonte, a rimettersi diritto sulla corda e continuare a passo fermo.

Le vigne, la frutta, la terra, la campagna come dimensione primitiva dove le

cose sempre fioriscono e maturano nel momento giusto – e dove Antonio e Miriam raggiungono i momenti più genuini e emotivi del film – sono l’immaginario scelto da Ciro D’Emilio per sviluppare il suo senso di continuità, in opposizione a una Napoli genuina ma irrequieta, con la città che ti spinge a muoverti ma anche rischia di farti perdere l’equilibrio. Così come Antonio, Un giorno all’improvviso respira con il suo ritmo, scorre in modo naturale e si svolge verso una direzione chiara, cominciando lentamente – non senza dolore, errori e mancanze – a staccarsi dalla madre, dall’albero, dalla sua zona di comfort, per diventare un frutto consistente e genuino, che prende una forma propria. Che anche se non ha tutte le misure giuste e forse non ha ancora raggiunto la maturità, riesce a far vedere tutti i suoi colori e soprattutto, promette l’arrivo di una bella annata.

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