#Venezia75 – World’s on Fire. Incontro con Roberto Minervini e il cast

In occasione del suo nuovo film What You Gonna Do When the World’s on Fire? in concorso al Festival di Venezia, Roberto Minervini incontra la stampa insieme agli attori e parte della troupe

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Uno degli autori italiani in Concorso alla 75^ edizione della Mostra del Cinema di Venezia è Roberto Minervini, che presenta un documentario girato in America che si occupa di raccontare, attraverso tante storie individuali, la tragedia esistenziale dei neri d’America, un problema di cui tanto si è parlato e si parla, ma che resta comunque un urgenza, qualcosa a cui dare voce : “Il titolo ha a che fare con uno spiritual di un paio di secoli fa, ma quello che davvero m’interessava era la risposta a questo canto, lo scappare, lo sfuggire alle fiamme. Durante lo sviluppo di questo progetto ho anche scoperto che tra me, noi bianchi ed i neri c’è una diversa percezione della temperatura delle fiamme. La musica è un pò il baluardo culturale dei neri d’america, un patrimonio di cui lo Smithsonian Museum cercò di appropriarsi negli anni Trenta del secolo scorso.”

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Nel film ci sono le storie di alcuni rappresentanti della comunità nera povera di New Orleans, che sono arrivati a Venezia ed in sala conferenze insieme al regista, piuttosto sorpresi della notorietà ottenuta. Persone di cui Minervini ha dovuto conquistare la fiducia, per distanziarsi dai tanti che arrivano per filmare e poi sparire, mentre al contrario in questo progetto sono riusciti a trovare degli stimoli e dei legami importanti che li hanno incoraggiati a proseguire. E dalle loro parole diventa evidente la loro fede ed il loro credere che questa attenzione sia derivata da un intervento divino, dopo anni di sacrifici e lotte all’interno di una comunità con problemi grandi come montagne. Le parole di Kevin Goodman, uno dei protagonisti: “Per me è stata una benedizione, finalmente ho avuto qualcosa in cambio per il mio lavoro nella comunità, dove abbiamo solitamente altro a cui pensare che non a fare dei film, quindi penso che questa cosa sia sacra. Facendo parte di un centro sociale ho imparato ad interagire con la gent, avrei capito subito se Roberto avesse voluto strumentalizzare il mio talento. Io sono un superstite, mi sono sempre occupato di me e della mia famiglia senza chiedere elemosina, senza chiedere niente di gratuito. Sapere cosa avrebbero fatto con queste riprese è stato per me molto importante.”

Una delle parole ritornanti della conferenza è fiducia, un concetto che dopo il regista tutti ripetono, come ad esempio i collaboratori, una piccola rappresentanza di una crew davvero numerosa, che sottolineano il clima d’amore e di condivisione tappa dopo tappa di un percorso pieno di ostacoli e dove il rispetto ha permesso di dare il meglio per ottenere il risultato. Uno delle novità di questo film di Minervini è la scelta del bianco e nero, utilizzato per due ragioni, come spiega ancora il regista: “La prima motivazione è per dare un equilibrio estetico, con riprese fatte in ore del giorno ed in contesti diversi, per dare un continuum alle storie che non convergono a livello drammaturgico, dove il colore poteva rappresentare un disturbo. Il secondo motivo ha invece a che fare con l’aspetto temporale, con il colore che a volte può diventare invasivo mentre il bianco e nero è quasi come un farsi da parte, lasciando al racconto tutta la sua efficacia.”

L’idea del progetto si è sviluppata fin dal 2015, quando avvennero degli omicidi di alcuni neri in diversi Stati d’America, avvenimenti che portarono alla rivolta di Dallas. L’approccio con il progetto ha avuto molto di emotivo, da reporter, dove tutti dal primo all’ultimo della troupe erano mossi da un’urgenza. Questo film di Minervini rientra di diritto tra quelli del Cinema del Reale, che si prefigge di osservare qualunque realtà da diverse prospettive, un lavoro politico che attiene ad un’idea di mondo e di stare insieme in un determinato modo, un lavoro collettivo, costato tanti sacrifici: “Non è stato facile finanziare il progetto visto che il film non aveva una sceneggiatura, ed in assenza di uno script le difficoltà sono state molte. Ma noi siamo un gruppo abituato alle difficoltà, che erano sicuramente minori rispetto alle difficoltà che stavamo filmando. Abbiamo fatto tante ore di riprese, con dei momenti così veri che a volte sembrava una fiction, la scrittura era già nelle riprese. Non pensavo che dopo 4 film un progetto potesse rischiare di morire sul nascere, ci sono stati momenti in cui ci hanno sparato addosso e questo gruppo ha comunque continuato a girare.” Ed aggiunge, sempre Minervini, con la voce rotta dall’emozione e dalle lacrime : “Questo è un cinema di vita, una cosa grossa” affermazione che insieme al pianto gli vale l’applauso del pubblico.

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