#Venezia76 – Effetto Domino. Incontro con Alessandro Rossetto e il cast

Alessandro Rossetti incontra la stampa in occasione dell’uscita del film Effetto Domino, una storia del profondo Veneto con un respiro internazionale. Lo accompagna a Venezia gran parte del cast

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Effetto Domino di Alessandro Rossetto è un film corale. Dentro le relazioni umane c’è l’essenza del Veneto, fatto di aziende familiari e contatti, l’humus locale che in Effetto Domino si trasforma in messaggio universale, attraverso l’adattamento del romanzo omonimo di Romolo Bugaro, dove il regista ha trovato una storia che già in passato aveva incontrato e di cui avrebbe voluto fare un documentario, 3 famiglie coinvolte, e la valanga di guai che a cascata le investono. Nel libro il racconto era strutturato in parti ed il regista ha provato a tenere quasi tutto dell’impianto teorico dentro il film: “Infinite Life, Homo Deus, il sottotitolo del film è La morte ha le ore contate. Sono molto importanti le rovine, si lavora per contrasto, già in sede di sceneggiatura. Per nutrire il dramma è necessario ci fossero nella prima parte delle matrici slabbrate che poi si cristallizzassero. Bello ci sia un intento pedagogico, però lo scopo è raccontare dinamiche più ampie attraverso il mio cinema, come ad esempio le vicende familiari. E interessante girare al Nord Est, c’è un’atmosfera balcanica, ci sono più matti che in altri posti, coabitazioni particolari, dinamiche politiche sorprendenti. Tutto l’insieme per il cinema è oro colato”.

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Per presentarlo a Venezia, insieme a lui c’è gran parte del cast che ha collaborato alla riuscita del lavoro, Diego Ribon, Mirko Artuso, Maria Roveran, Marco Paolini e Lucia Mascino. Un gruppo affiatato che ha cercato di costruire dei personaggi spontanei, in linea con una rappresentazione di un mondo quotidiano che in un certo senso si allontana da un ritratto psicologico e cerca di essere attinente alla realtà, come sottolinea per primo Diego Ribon, che interpreta Franco Rampazzo, un imprenditore che sarà stritolato dal progetto che tenta di realizzare, l’assorbimento e la demolizione di vecchie strutture alberghiere fatiscenti per realizzare dei resort per anziani che facciano dimenticare la morte: “Questa è una storia universale, c’è gente che muore, c’è il tradimento di un’amicizia per i soldi. Adesso quando entro in un personaggio la psicologia mi occupa meno. Mi interessa il presente, mi interessa l’azione, rappresentare senza fare suona retorico, scontato, l’epoca di Bergman è superata. Franco Rampazzo esiste, ha tentato un progetto ed ha fallito. Ma nella realtà non ha mollato, loro non cedono mai. Il Rampazzo vero non fa altro, non ha più una grossa impresa, ma sopravvive, la caratteristica di queste persone è che quando cadono non cedono.” 

Anche Lucia Mascino racconta qualcosa del suo personaggio, che ha un arco narrativo molto semplice e si visualizza nel film soltanto in tre passaggi, per il quale si sono posti alcune fondamentali domande e soprattutto hanno operato una scelta tra due linee distinte: una tagliente e spietata contrapposta ad un’altra, con una maggiore componente di partecipazione, che è quella adottata work in progress, alla fine in maniera istintiva: “La scrittura non era facile, questo è un film sottrattivo, se lo carichi lo storpi. Io ho partecipato a Suburra dove la possibilità di caricare il personaggio era più ampia, non troppo ma possibile, qui non c’erano molti margini per restituire la tua intenzione. Qui il personaggio è frammentato, parte da una concretezza, sentivo la responsabilità, è stato complicato.” 

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