#Venezia76 – Giants Being Lonely, di Grear Patterson

Un film certamente derivativo e con qualche caduta di stile, ma comunque capace di parlarci di una generazione (i “centennials”) trasfigurandone i fantasmi interiori.

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Grear Patterson è un artista visuale californiano che esordisce nel lungometraggio con quest’interessante Giants Being Lonely prodotto da Olmo Schnabel (figlio di Julian e quindi abituato ampiamente ai cortocircuiti tra cinema e arti visive). L’esperienza pregressa dei due amici, del resto, si avverte chiaramente nell’accurata composizione delle inquadrature e nei tempi lunghi di un montaggio “anestetizzato” dai movimenti dei protagonisti. Siamo Hillsborough, piccolo centro della della Carolina del Nord, dove due ragazzi frequentano la scuola superiore e giocano nella locale squadra di baseball. Bobby è la star della scuola, il miglior giocatore della squadra e l’amante segreto della moglie del coach; il suo amico/nemico Adam è invece il figlio del coach, un ragazzo triste e svogliato che vuole provocare il severissimo padre giocando a baseball il peggio che può. Intorno a loro ruotano poi le vicende di una serie di compagni di scuola (soprattutto la bella Caroline corteggiata da entrambi) e di eventi (feste, partite e bevute) che rimandano a una lunga tradizione dell’High School drama come sottogenere dell’ampio panorama dell’indie americano. C’è però una particolarità. Gli amici Bobby e Adam sono interpretati da due reali fratelli nella vita (Ben e Jack Irving) e su questa evidentissima somiglianza il regista instaura un rapporto ambiguo con noi spettatori: in molte sequenze è veramente arduo (a volte impossibile) capire chi dei due ragazzi si muova sullo schermo accentuando di molto il tono sottilmente metafisico della vicenda.

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E allora: Giants Being Lonely parte da trame codificate alla Stand by Me, attraversa i pedinamenti vansantiani di Elephant e le accensioni surreali dell’ultimo Twin Peaks, per arrivare infine agli echi dei teen movie d’autore della famiglia Coppola – da I ragazzi della 56ª strada di Francis a Il giardino delle vergini suicide di Sofia per finire con Palo Alto di Gia. Una regia molto colta e consapevole quella di Patterson che non aggiunge molto a questa galleria di alte referenze da cui attinge a piene mani, ma che ha comunque il merito di cercare delle soluzioni formali non banali per configurare il dolore inespresso di questa generazione. I cosiddetti “centennials”: le tematiche classiche come le regole dei genitori e la competizione sociale, la morale calvinista e l’ossessione per il fallimento vengono pertanto riproposte con un tono ancor più catatonico del solito. Sino a una scioccante risoluzione del dramma familiare di Adam che è la nota stonata di un film che sin lì ha avuto il coraggio di giocarsi le sue carte migliori sul terreno del non detto. Insomma: un teen drama certamente derivativo e con qualche caduta di stile, capace però di trasfigurare in maniera efficace i fantasmi interiori dei suoi giovani protagonisti.

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