#Venezia76 – Guest of Honour, di Atom Egoyan

Un melo-thriller psicologico fatto di incastri temporali, come un tempo Egoyan sapeva fare e, oggi, non più. Concorso.

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Dopo il brutto passo falso di Remember, Atom Egoyan torna a territori più familiari con un opera di cui non solo è sceneggiatore e regista, ma anche produttore. Le tematiche sono le solite: il senso di colpa, la memoria, la menzogna, il ruolo delle immagini nelle nostre vite, una famiglia lacerata da un trauma.

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Veronica si reca da un sacerdote per organizzare il funerale del padre Jim. Il parroco le chiede delle informazioni sul defunto e qui inizia un racconto sul passato della donna e sul complesso rapporto con la figura paterna, uno scrupoloso ispettore sanitario che visita ristoranti. Veronica ricorda un tradimento del padre con la sua maestra di musica. È un ricordo che Jim ha sempre negato, ma che ha causato nella vita di Veronica una reazione a catena di dolore, morte, colpe da espiare volontariamente in carcere per un crimine non commesso.

Un cinema di cicatrici interiori e di false verità, pienamente dentro alla filmografia del cineasta canadese di origini armene. E infatti sulla carta c’erano gli ingredienti giusti per far sì che Egoyan ritornasse ai fasti del passato (Exotica, Il dolce domani, Il viaggio di Felicia).  Il principale problema di Guest of Honour però è che ci appare soprattutto un’opera di soli ingredienti, messi insieme con la solita struttura a incastri che si ripete da decenni. L’elemento più interessante è il modo con cui l’autore racconta l’invasività degli oggetti e delle immagini multimediali sulla privacy dell’individuo e sulla sua reputazione. Sia Veronica sia Jim sono infatti vittime degli smartphone e della loro facoltà di riproduzione audiovisiva. Le registrazioni video diventano strumenti di comunicazione e di ricatto, confessioni private e prove di innocenza apparentemente inoppugnabili (ma anche l’immagine può mentire!).

Peccato che dietro queste suggestioni venga intessuta una trama fitta di misteri e tragedie che rischia paradossalmente di assumere i contorni dozzinali della soap opera. A oggi quello di Egoyan sembra un cinema più complicato che complesso, inesorabilmente destinato a incartarsi in una visione dell’umanità troppo studiata a tavolino. E così per quanto si tratti di un autore intelligente e acuto sulla contemporaneità, le intuizioni non vanno oltre un collaudato e noioso esercizio di stile. Con tutta la buona volontà, in Guest of Honour le immagini e le emozioni finiscono presto con il rincorrere una scrittura e una struttura “pesanti”.

Forse Atom Egoyan è diventato un cineasta troppo cerebrale per lasciar andare i suoi film alla necessità delle emozioni.

 

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