#Venezia76 – Il Sindaco del Rione Sanità. Incontro con Mario Martone e il cast

Dopo la genesi nella fucina del Nest-Napoli Est Teatro a San Giovanni a Teduccio ed il passaggio nei più prestigiosi teatri nazionali, l’adattamento da Eduardo è stato presentato in Concorso

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Dopo la genesi nella fucina del Nest-Napoli Est Teatro a San Giovanni a Teduccio ed il passaggio nei più prestigiosi teatri nazionali, Il Sindaco del Rione Sanità, ultimo film di Mario Martone è stato presentato in Concorso a #Venezia76. Il solo nome di Eduardo De Filippo è bastato a garantirsi un sonoro scroscio d’applausi, qualora ci fossero ancora dei dubbi sul fatto che i grandi restino sempre immortali, ma che confrontarsi con essi è impresa più che ardua, come ha ribadito oggi Mario Martone assieme al cast del film:

«Il Sindaco del Rione Sanità è il mio primo Eduardo. Mi sono sempre tenuto alla larga perché mettere in scena i suoi testi significa assumere inevitabilmente non solo quanto c’è scritto sulla carta ma anche (e in troppi casi soprattutto) il macrotesto delle messe in scena di De Filippo attore e regista, tramandato e codificato attraverso le innumerevoli recite e le varie versioni televisive. Sgomberare il campo, impedire alla radice che questo accada con un così deciso spostamento d’età del protagonista (oggi i boss sono giovanissimi), consente di mettere il testo alla prova della contemporaneità e di renderlo come nuovo» e dargli nuova veste civica.

Si tratta di un’operazione che tiene insieme rivoluzione e filologia, impegno e cinefilia, ma anche molto gioco e azzardo, «un film tra Cassavetes e Mario Merola», scherza il regista, «soprattutto nel rapporto con gli attori».
Lo conferma anche il protagonista Francesco Di Leva, colui che ha “affrontato” Luca De Filippo, detentore (e dunque difensore) dei diritti del padre, proponendogli la “folle” impresa di far ringiovanire di quasi trent’anni un classico della tradizione partenopea e di metterlo in scena in un teatro di periferia.
Convinto De Filippo occorreva trovare il modo di avvicinarsi al personaggio eduardiano: per rileggere Antonio Barracano, Francesco Di Leva ci racconta d’essersi ispirato a Che Guevara ma soprattutto al pugile-mito Muhammad Alì, a quel «nero, alto e arrogante che negli anni Sessanta stava conquistando il mondo a suon di pugni e di rap», che ha lasciato la sua impronta nel “Sindaco” martoniano, frutto d’una buona dose d’improvvisazione, come vuole la tradizione teatrale e come voleva un cineasta come Rossellini, chiamato in causa da Martone, con il suo celebre aforisma: «la macchina da presa è una forchetta, l’importante è quel che si porta alla bocca».
Nonostante il “ringiovanimento” il regista ha sottolineato però la sua fedeltà al teatro ed all’ordine drammaturgico aristotelico, da rispettare rigorosamente se si vuol fare un ottimo “cinema di teatro” alla maniera di Polanski e Fassbinder o di altri maestri del calibro di Welles e Kurosawa.

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Restano i tre atti dunque, e gli interni soffocanti dichiaratamente hitchcockiani, ma viene espunta la tirata finale a lasciare il posto alle immagini. Ed ai gesti…

Già, perché come ribadiscono all’unisono tutti gli attori ed i produttori assieme a Martone, tra cui spiccano Massimiliano Gallo e Roberto De Francesco – a sottolineare ancora una volta la genesi collettiva dell’opera – il vero grande gesto del “nuovo” Barracano è quello di prendersi la sua responsabilità, perché di responsabilità ne abbiamo bisogno a Napoli e in Italia, nelle periferie come nel centro.

«Chiedo scusa se torno ancora una volta ai vecchi amori » ha concluso il regista citando Leopardi, «ma proprio da lui, il “grande pessimista” ho imparato l’importanza di portare avanti l’impegno e la testimonianza civile, e non perché siamo anime belle, ma perché oggi più che mai è necessario».

 

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