#Venezia76 – Wasp Network. Incontro con Olivier Assayas e il cast

Penelope Cruz, Gael Garcìa Bernal, Edgar Ramirez e Wagner Moura raccontano insieme al regista il film in concorso a #Venezia76 sui “los cincos”

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Antonio Guerriero, Fernando Gonzales, Gerardo Hernandez, René Gonzales, Ramon Labanino sono i protagonisti dell’ultimo film di Olivier Assayas Wasp Network, con cui è in corsa per il Leone d’Oro a #Venezia76.
A Cuba, los cincos héroes prisioneros de l’Imperio, sono dei miti, in America dei terroristi. Ormai dal 1998, scontano anni di carcere ed ergastoli, lontani dall’isola.

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Dopo Doubles Vies ( Non – Fiction) il regista torna al Lido con un altro gioco delle parti che si gioca nel – o meglio sul – Mar dei Caraibi, tra Cuba e la dirimpettaia Florida, con una Miami di inizio anni ’90 in costruzione, ambita mèta da “sogno americano” capitalista – con macchine lussuose e McDonalds, ma anche enclave latinoamericana, in gran parte cubana. Qui le cellule terroristiche anticastriste organizzavano le loro missioni, ed è qui che i cinque hanno portato avanti la loro rivoluzionaria missione.

Ce ne ha parlato, oggi, Assayas in una conferenza stampa dal coté politico, con la Cuba di ieri e di oggi a far da protagonista, che ha diviso il cast di star del film.

E se il cineasta ha dichiarato di fare un film “politico” tenendosi lontano dal giogo dell’idealismo, senza «farsi ingannare dalle sue maschere», pur ribadendo l’importanza – quasi personale – della narrazione di un’epoca come quella della Guerra Fredda, così cruciale per una generazione cresciuta troppo velocemente dopo il maggio, Penelope Cruz (la troviamo nelle vesti della moglie di René Gonzales) si è mostrata ancor più cauta e ‘democratica’.

Per l’attrice spagnola «Cuba è un’isola meravigliosa con gente di cuore e di grande valore», ma che ha mostrato la spaventa: «la chiusura e il dogmatismo delle persone sono grandi per via di quello che hanno vissuto negli ultimi dieci anni e prima ancora. Io non amo gli estremismi, li ritengo pericolosi».

L’elezione di Trump e l’inasprirsi delle relazioni tra i due paesi, quasi a richiamare in causa l’embargo storico, non hanno fatto che peggiorare l’impresa di girare un film sull’isola e quella ancor più dura di farsi ben volere dagli abitanti, diffidenti all’idea, che «un francese andasse a “toccare” i loro miti».

Non si scherza con gli eroi a Cuba, perché Cuba, come ha affermato Walter Moura (volto di Pablo Escobar in Narcos ), « è il mito per tutte le rivoluzioni sudamericane».

Patria e rivoluzione. Un binomio che se ne porta con sé, in questo caso, un altro: clandestinità e morte (possibile) o prigione (certa). E allora l’annosa questione che risuona tra i microfoni dei giornalisti: «Ne valeva la pena?»

A detta di Edgar Ramírez (già volto del Carlos di Assayas ) no: «per me non c’è niente di romantico nel patriottismo. Da spia sei costretto a vivere molteplici vite, una matrioska emozionale, è estenuante».

È Gael Garcìa Bernal allora prendere le distanze e segnare la linea: «è una sintesi sbagliata ridurre l’azione di queste persone ad un atto di patriottismo, definirle spie. Loro spiavano perché volevano evitare la violenza. C’è qualcosa di veramente unico in questa storia, nella vera storia. E’ un atto d’amore».

Anche qui, come nel film, sono due mondi a confronto.

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