Vi presento Christopher Robin, di Simon Curtis

Vi presento Christopher Robin permette al regista di mostrare di nuovo il lato nascosto di un fatto conosciuto. L’origine di Winnie the Pooh svela la ricerca di attenzione del giovane eroe del libro

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Goodbye Christopher Robin tenta di inserirsi in una serie di riletture cinematografiche dei grandi protagonisti della letteratura infantile inglese che ha raggiunto la sua massima espressione con Neverland di Marc Forster. La storia dietro le quinte che ha ispirato l’universo narrativo di Winnie the Pooh permette a Simon Curtis di approfondire ulteriormente uno dei suoi temi preferiti. Infatti, il regista inglese si è distinto spesso nell’abilità di aprire squarcio sulla superficie di un oggetto conosciuto e tirarne fuori un lato nascosto. In My Week with Marilyn, aveva rovesciato la memoria glamour dell’escursione britannica della diva americana e aveva usato la sua breve infatuazione per il suo fattorino per far affiorare i primi sintomi della sua depressione. In Woman in Gold, aveva messo in luce la drammatica vicenda che stava dietro al Ritratto di Adele Bloch-Bauer di Gustav Klimt, raccontando la morte in una lager della donna che vi aveva posato e che lo aveva commissionato, e la battaglia di sua nipote che voleva tornarne in possesso.

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Goodbye Christopher Robin si propone di mostrare il difficile rapporto tra lo scrittore A. A. Milne e suo figlio, soprattutto nel momento in cui il suo orsacchiotto gli ispirava il popolare eroe dei libri e dei cartoni animati. La scelta di approcciarsi ad una figura così importante della cultura anglosassone da una prospettiva drammatica e dissonante è senza dubbio audace. Tuttavia, il copione di Frank Cottrell Bryce sceglie di non abbracciare uno sguardo unico ma prova a tessere una rete tra tutti i personaggi del nucleo familiare. Il centro di gravità di tutte le loro tensioni dovrebbe essere il loro rapporto con il piccolo Christopher Robin ma a volte il potenziale dei conflitti si disperde in questioni secondarie. Il distacco altolocato della madre naturale si contrappone all’amore incondizionato della sua tata ma quello contraddittorio di suo padre viene in parte deviato dalla sua natura respingente e dai suoi traumi di guerra. La loro relazione esclusiva e il loro tentativo di creare una connessione attraverso la capacità comune di inventare storie deve spartirsi l’attenzione con lo scopo nobile del reduce di sensibilizzare la patria. Il film funziona in molte sue parti ma non trova mai un filo da seguire con convinzione e soprattutto non sa decidersi su quale sia la sua missione finale. Simon Curtis vuole dissacrare una leggenda nazionale come Winnie the Pooh oppure vuole perpetuarla dandogli una nuova profondità? La Gran Bretagna aveva davvero così bisogno di un mondo immaginario che curasse le ferite belliche da legittimare il sacrificio dell’innocenza di un bambino? Oppure, l’egoismo e il desiderio di restare sotto i riflettori di A. A. Milne e di sua moglie hanno cavalcato senza scrupoli questa necessità?

Ad esempio, la felice evocazione dell’unica estate che il giovane protagonista e suo padre passano insieme nella loro casa in campagna è pertinente al tono lirico ed irripetibile della sua funzione drammatica. Tuttavia, la delusione successiva del bambino e il nuovo abbandono vengono parzialmente subordinati allo sfarzo della ricostruzione d’epoca del tour americano di promozione di Winnie the Pooh. L’attenzione alla scenografia è coerente con la critica al contesto di interviste, pressioni mediatiche e falsità che rubano l’infanzia a Christopher Robin. Tuttavia, questa cura al dettaglio d’epoca sottrae energie alla sua percezione fanciullesca e all’empatia con lo spettatore. Se il messaggio arriva a destinazione in maniera retoricamente convincente, non si può dire che sia allo stesso modo emozionante. Quello che manca rispetto ad altri film di Simon Curtis non è certo il fascino della confezione ma una mancanza di identificazione. Il talento di Michelle Williams e di Eddie Redmayne sostenevano il sottile gioco di seduzione, complicità e dipendenza tra Marilyn Monroe e il suo sconosciuto tuttofare a tempo. La passione per la giustizia morale e la dignità della sfida legale di Helen Mirren erano sufficienti a trascinare il pubblico di Woman in Gold dalla sua parte. Goodbye Christopher Robin resta sospeso tra la sincerità di un risarcimento a quello che il suo eroe ha perso in favore di milioni di altri bambini e l’astuzia di un film di conflitti e ricomposizioni familiari che non riesce fino in fondo.

Titolo originale: Goodbye Christopher Robin

Regia: Simon Curtis

Interpreti: Domhnall Gleeson, Margot Robbie, Will Tilston, Kelly MacDonald, Phoebe Waller-Bridge, Alex Lawther, Stephen Campbell Moore

Origine: UK, 2017

Distribuzione: 20th Century Fox

Durata: 107’

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