Viaggio da paura, di Ali Mostafa

Pur nascendo con le premesse dell’intrattenimento il film di Alì Mostafa mostra una natura politica costruita sulla strada, alla ricerca delle storie che compongono il Medioriente.

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Di fronte a film come Viaggio da Paura ci si sente davvero privi di schemi mentali ai quali aggrapparsi e già questo è un merito non da poco considerando la standardizzazione dei prodotti che arrivano nei cinema. Una incontro ravvicinato con una cinematografia vergine provoca sempre quell’effetto vertigine da primo appuntamento, effetto amplificato dal fatto che le tue aspettative vengono continuamente ribaltate man mano che la pellicola avanza nel Medio Oriente. Se le premesse sono da commedia demenziale on the road, confine dopo confine, l’effetto notte da leoni svanisce e ci si schianta contro i muri, reali o presunti, innalzati tra le etnie che popolano un area così eterogenea.

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Un Siriano, un Egiziano e un Saudita per ricordare la morte di un loro carissimo amico d’infanzia decidono di lanciarsi nel viaggio che avrebbero dovuto compiere insieme cinque anni prima, partendo da Abu Dhabi e arrivando a Beirut (From A to B, come recita il titolo originale). Un Viaggio da Paura è un racconto di formazione con tutti i crismi del genere ed è significativo come a rappresentarlo siano tre ragazzi che racchiudono in piccolo l’utopia cosmopolita che sarebbe auspicabile creare per tenere insieme le inquiete anime del mondo arabo. Pur nascendo con le premesse dell’intrattenimento il film di Alì Mostafa mostra una natura politica costruita sulla strada, spingendosi passo passo alla ricerca delle storie personali che messe una dopo l’altra compongono quel gigantesco puzzle che per comodità chiamiamo umanità.

Raccontando con splendida ingenuità le storie normali di questi uomini qualunque, Mostafa spiazza e sorprende non ripetendo i cliché dei film mediorientali ai quali siamo abituati, attraverso i quali il nostro occidentalismo si salva dentro l’esotizzazione dell’altro e crea una barriera dalla quale ci sentiamo protetti. Un Viaggio da Paura invece ci prende alle spalle, è un frullato folle che frammenta il nostro sguardo finalmente ribaltando il punto di vista. Non siamo più noi a vedere secondo i nostri canoni l’oriente ma è questo ibrido tra la sabbia del deserto e le vetrate specchiate dei grattacieli a rifletterci addosso dei modelli che sentiamo nostri ma che non riusciamo più neanche a riconoscere. Mostafa cercando una strada attraverso la quale raccontare la sua generazione salta direttamente oltreoceano, verso i modelli della commedia situazionista tra Todd Philips e i duetti Franco-Rogen, inciampando dentro il bisogno di un popolo di autorappresentarsi. Un bisogno che sconfina oltre le semplici motivazioni personali ma finisce per trovar rifugio nelle incongruenze, nei particolarismi e nelle aberrazioni (vedi Siria) di un gigantesco popolo di fratelli che non si incontra poi così spesso come dovrebbe.

 

 

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