VIAGGIO IN ITALIA – Habitat – Note personali di Emiliano Dante: ecologia della ricostruzione

È un dialogo interrotto tra lo stare e l’appartenere quello che anima Habitat – Note personali di Emiliano Dante. L’habitat è lo spazio esistenziale da definire e filmare

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È un dialogo interrotto tra lo stare e l’appartenere quello che anima Habitat – Note personali di Emiliano Dante. Il progetto del film (presentato in numerosi festival nel corso dell’anno, tra cui Torino, Istanbul, Annecy) nasce dallo sradicamento esistenziale provocato dal terremoto che ha colpito nel 2009 il territorio dell’Aquila: una sorta di diario personale e collettivo, che sfugge alla scrittura documentaristica per assumere la forma di un’indagine conoscitiva degli stati di coscienza ed esistenziali di un pugno d persone che condividono con l’autore aquilano l’esperienza di vivere in una terra che è stata riscritta prima dal terremoto e poi dalle pratiche berlusconiane di reinsediamento provvisorio: il progetto C.A.S.E. con diciannove new town a sostituire le tendopoli disseminate a raggio attorno all’area urbana, per un totale di 4500 unità abitative. Una ridefinizione in chiave palazzinara del concetto stesso di abitare, di vivere, di essere in un luogo e appartenere a uno spazio esistenziale, nella quale Emiliano Dante riflette una condizione personale e collettiva di disapartenenza subita, la disfunzionalità di un vivere provvisorio che, per effetto di un maquillage abitativo, pretende di fingere stabilità e accoglienza, laddove resta comunque instabilità e rimozione, occultamento.

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Habitat-2 (1)Nel filmare se stesso e il proprio spazio, il filmmaker aquilano scandisce la funzione materica del mettere in scena un mondo (questione di edifici e detriti, figure e frammenti…) in un teorema che, numerando un prologo e 50 punti decrescenti, dimostra la corrispondenza tra lo spazio interiore e quello esterno, tra l’intimità di una condizione esistenziale fatta di relazioni, sentimenti, occupazioni, tempo, e l’oggettività di un abitare che occupa spazi, luoghi, ambienti, strade, piazze, case. In una parola un habitat inteso come ecologia della vita. Graffiato in un bianco e nero che disconosce dichiaratamente i colori di una vita desaturata tra le maceria, Habitat è un film in cui risuonano insieme le riflessioni soggettive dell’autore e la narrazione di una comunità dispersa, dissezionata nei microritratti di alcuni compagni di vita dell’autore: trentenni interrotti nel farsi delle loro vite, che hanno condiviso con lui l’esperienza a caldo della tendopoli, in cui il senso della comunità persisteva nel tenersi insieme provvisorio, e poi si sono persi, come fraticelli rosselliniani, nelle soluzioni abitative esistenziali conseguenti all’illusoria normalizzazione del disastro permanente… Ognuno per la sua strada: Paolo, l’artista che dipinge primordiali sagome su tela inconsciamente sanguinanti di rosso; Alessio, l’ex squatter divenuto agente immobiliare; e lo stesso Emiliano, che già filmava se stesso e la sua casa prima del terremoto (la Home Sequence Series, frammenti di habitat domestico, è del 2005) e ora costruisce il suo film come la posa in opera di un’esperienza comune interrotta nel “dopo terremoto” della vita.

emiliano danteLa cosa interessante del lavoro di Dante è proprio la coincidenza tra l’esigenza di filmare il dramma di una ricostruzione esistenziale posta in opera tra le macerie e la trasparenza di un ritratto che in realtà parla prima di tutto di vite interrotte, di biografie che fanno i conti con l’esistere attraversando l’evento del terremoto – che è accidentale ed incidentale al contempo. Habitat, insomma, è più di un documentario sul dopo terremoto aquilano, configurandosi soprattutto come una riflessione sul senso stesso dell’abitare la vita, dello stare in uno spazio esistenziale che raccoglie abitudini, frequentazioni, geometrie quotidiane, relazioni spaziotemporali… L’ordito è complesso, tenuto insieme dalla narrazione in prima persona dell’autore, che diarizza, illustra e teorizza, e scomposto in porzioni che enumerano le fasi esistenziali dei protagonisti, seguendo un principio restaurativo non dissimile da quello degli archeologi, che procedono per unità stratigrafiche, numerando i frammenti per ricomporre il quadro d’insieme. Il confronto con i personaggi è mediato dalla domanda e dall’ascolto, ma la definizione della scena è tanto sociologica quanto psicologica, segue le dinamiche sia concettuali che spirituali, sia politiche che esistenziali. Il riflesso tra il filmare e il filmarsi si traduce nella concretezza del tavolo di montaggio che sta accanto al divano letto, così come la grafica didascalizza con ironia topografie e teoremi ricostruttivi, mentre le vite dei protagonisti rotolano nel loro esistere in cui si ama per abitare nuove case e si fanno figli per fuggire in nuove città… Se l’edificio è, etimologicamente, ciò che fa la casa, nel filmare di Emiliano Dante la casa diventa ciò che fa la vita: l’habitat è lo spazio esistenziale da definire e filmare diventa l’occasione per riscrivere se stessi.

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