Vinicio Capossela – Nel paese dei coppoloni, di Stefano Obino
Dopo aver scritto il libro omonimo, Capossela ci mostra i suoi luoghi della memoria nell’Alta Irpinia, tra canti e rivisitazioni di riti ancestrali.
Si inizia da una fine. Diciassette anni ci ha messo Capossela per scrivere il suo libro (candidato al Premio Strega 2015) e il film da cui è tratto sembra un lungo rituale di addio ai luoghi dei ricordi e dei miti che ne hanno riempito le pagine. Ricordi che fanno parte della carne e delle ossa dell’autore, e che si aggrumano in una serie di immagini e suggestioni, in questa ricerca storiografico-antropologica, permeata al contempo di una fantasia personalissima e straripante.
I paesaggi dell’Alta Irpinia, i suoi dialetti ma specialmente le sue musiche, le sue canzoni, ognuna delle quali serviva per scandire e cadenzare i momenti simbolici: le serenate, le canzoni dello “sposalizio”, i canti delle conversazioni tra amici. Di questo e di molto altro ci parla Capossela, mentre ci conduce in un viaggio nella memoria ancestrale, reale ed immaginifica insieme perchè come lui stesso dice precedente alla sua nascita. La mitografia delle orgini dunque. Le origini contadine, i luoghi della transumanza e dell’emigrazione, i luoghi dei “canti che transumano, cambiano lingua e pelle, ma non il moto dell’anima che li ha originati”.
Al ripetersi dei quesiti: “Chi siete? A chi appartenete? Cosa andate cercando?” Capossela ci mostra dunque i luoghi e gli oggetti dell’abbandono (le case lasciate dopo il terremoto, ancora arredate dei mobili e delle vecchie foto, la ferrovia oramai in disuso, la trebbiatrice che nella sua fantasia diviene una trebbiatrice volante), per quello che sempre di più va definendosi come il percorso della sua personale ossessione. Ossessione verso quei riti collettivi oramai scomparsi, messi a confronto con il vagabondare solitario dell’autore, in quest’opera dal lirismo a tratti esasperato, e ricerca di quei credo ancestrali che hanno formato gli uomini fin dall’antichità: la natura portatrice di messaggi, i “sentieri della cupa, dove si addensano le creature notturne”. Linguaggio visionario e barocco dunque, per perderci nelle notti silenziose di una cittadina oramai semi abbandonata, insieme ad un Capossela assalito dalla “voce della malinconia”, mentre canta un ultimo canto alla luna, immerso nella particolare condizione di guardare (apparentemente) solo indietro verso un passato immaginato.
Regia: Stefano Obino
Interpreti: Vinicio Capossela
Distribuzione: Nexo Digital
Durata: 105′
Origine: Italia 2015