Youth – Giovinezza, di Paolo Sorrentino

E’ un dato di fatto che per un regista totalmente incentrato sulla ipertrofia dello stile i momenti migliori arrivino nella semplicitá del campo-controcampo o in un paio di monologhi riusciti

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Si intitola giovinezza ma si sarebbe potuto chiamare morte. O anche i morti. The Dead. Ma poi qualche distratto spettatore avrebbe magari corso il rischio di confondere questa parabola sulla vecchiaia con l’ultimo, bellissimo film che John Huston diresse prima di morire. Sorrentino infatti dopo il trionfo internazionale de La grande bellezza, vola ancora piú alto riflettendo sul crepuscolo degli anni, sullo sfiorire del corpo e della memoria, su quello che lasciamo agli altri nell’arte e nella vita. E lo fa come se si sentisse giá, a soli 45 anni e 7 film, un cineasta a fine carriera. Ci troviamo in Svizzera presso una lussuosa casa di riposo per miliardari e star dello spettacolo. Tra essi c’è il compositore Fred Ballinger, che si è ritirato dalle scene e che ha appena ricevuto un’offerta prestigiosa: fare un ultimo concerto in onore della Regina d’Inghilterra della sua opera piú famosa. L’uomo inizialmente non sembra interessato all’offerta e trascorre le sue giornate insieme alla figlia Leda, a un giovane attore americano (il vero alter ego di Sorrentino?) che osserva in silenzio la fauna umana che lo circonda per comporre il suo prossimo personaggio e soprattutto con il suo amico Mick, un regista che sta scrivendo la sceneggiatura di un film che potrebbe essere il suo testamento artistico.

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Ci risiamo. Il cinema di Sorrentino continua a farci rabbia e a non darci pace. Il suo talento tecnico prosegue a essere direttamente proporzionale alla sua arroganza e a una preoccupante mancanza di amore, di respiro, di spazio. Youth è un film schiacciato da belle immagini senza un’anima, senza un dettaglio, uno squilibrio che possa creare un contatto tra l’inquadratura e il fuori. Ha un bel da fare il regista italiano nel muovere i carrelli, usare rallenti, zoom o composizioni statiche: tutto finisce con il girare a vuoto. Da questo punto di vista l’operazione è forse persino dichiarata nel suo ingolfamento progressivo dentro questo albergo in cui non succede praticamente nulla. Tra sedute di massaggio, concerti, cene, passeggiate in mezzo alla natura, Sorrentino perde consapevolmente tempo pensando che l’atmosfera e la forma riescano da sole a creare l’anima. Purtroppo non è cosí. In Youth nulla diventa materia, sostanza e la stessa riflessione sul cinema compiuta dal personaggio interpretato da Harvey Keitel appare didascalica, teoricamente e sentimentalmente povera.

Nonostante le ambizioni esistenziali del progetto – con una innumerevole serie di aforismi che denunciano soprattutto l’inclinazione letteraria del Sorrentino sceneggiatore (“Le emozioni sono sopravvalutate”/”Nella mia vita ho fatto di tutto per non diventare un’intellettuale”/”Uomini, artisti, animali, piante: siamo tutti comparse della vita”) – Youth è alla fine un film “piccolo”, che gira su se stesso come l’assurda pedana circolare in cui si esibiscono i cantanti nel giardino dell’albergo, su cui si apre la prima delle tante sequenze musicali. Alla fine volendo provare a cercare una via d’uscita in questo museo delle cere scopriamo un paradosso che potrebbe forse aprire possibili nuove traiettorie al cinema di Sorrentino. E’ un dato di fatto che per un regista totalmente incentrato sulla ipertrofia dello stile i momenti migliori arrivino in Youth nella semplicitá del campo-controcampo o in un paio di monologhi riusciti (molto bello quello della figlia sulla madre, ma anche qualche divertente botta e risposta tra Keitel e Caine). Se il mondo costruito da Sorrentino riuscisse a prendersi delle pause da questo sfiancante assolo senza punteggiatura in costante ricerca dell’applauso finale non sarebbe un male, ma probabilmente il sorrentinismo è un pacchetto unico da prendere cosí. Noi preferiamo lasciarlo lí dov’é.

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    3 commenti

    • Non condivido nulla della recensione,se non la parte finale (il sorrentinismo lo si prende così com’è, o lo si lascia perdere).Mi spiace non vedere più gli altri commenti critici verso la recensione,scomparsi. Avevo deciso di commentare dopo averlo visto ieri, riprendendo il discorso sul sorrentinismo/pirandellismo, ma evidentemente le opinioni di chi non è d’accordo danno fastidio – eppoi l’arrogante è Sorrentino.Voglio pensare sia un piccolo errore del sito e presto torneranno in vista.