ZEBRA CROSSING. Stephen Hawking messaggero della Videofilia

La figura di Stephen Hawking travalica l’ambito scientifico e si staglia nel nostro immaginario. La analizziamo come esempio di incrocio tra uomo e computer, e ne illuminiamo alcune derivazioni

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Una rubrica di immagini e design come Zebra Crossing non può non interessarsi agli oggetti, al loro uso e al loro aspetto. In un mondo in cui gli oggetti prendono sempre più vita è ovvio per noi, che ci occupiamo di immaginario, guardarli in modo diverso, non solo come tali ma anche come icone, come passaggi da un passato a un presente in cui l’oggetto si affranca dal suo essere “statico” per divenire “dinamico”. Tale dinamicità si manifesta in vari modi: dal forno che dice se l’arrosto è cotto fino, talvolta e ai livelli più alti, a una fusione con la persona.

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Tutto ciò porta la nostra immaginazione a livelli superiori, oltre il consueto, non solo nell’immaginario ma anche nella capacità di interpretare il presente, il quale, lo sappiamo, buca facilmente la fantasia con i suoi twist di sceneggiatura del reale. La scienza in questo è maestra.

Stephen Hawking era una personificazione vivente di ciò che stiamo dicendo. È difficile analizzare il fenomeno Hawking prescindendo dai sentimenti, perché in Hawking davvero la più visibile debolezza era allo stesso tempo, e totalmente, la più grande forza, al punto da aver segnato il nostro immaginario collettivo per decenni.

Ha ragione Odifreddi quando parla di Hawking all’Huffington Post come “martire scientifico” per la moltitudine di persone che negli anni aveva accettato qualcosa definibile forse (e scusandomi) come “creatura mitologica mezzo uomo e mezzo macchina”. Il corpo Hawking era andato oltre la mente Hawking. Nel caso specifico, la macchina era un computer che aiutava l’uomo a esistere, come un HAL 9000 che mai si sarebbe permesso di tradire l’uomo, perché sarebbe stato come tradire se stesso. I confini tra uomo e macchina erano ormai divenuti labili e infatti Odifreddi ricorda come la massa, in modo kantiano verrebbe da dire, vedesse nello scienziato un tremendo ma affascinante spettacolo, forse non capendo la fisica che egli spiegava ma restando catturati dalla sua fisicità, destino ironico per uno studioso che ha passato la vita a cercare di spiegare in modo più chiaro possibile la propria ricerca.

In questo video John Oliver chiede astutamente se sia l’uomo o il computer a rispondere, ma non è tutto. Infatti, vedendo Hawking capiamo bene come lo scienziato sia andato oltre la scienza per entrare nel tessuto collettivo della vita di ogni giorno, in modo riconoscibile da tutti. Lo stesso gli successe con i Simpsons, con Big Bang Theory, Futurama, Family Guy, con i Monty Python o i Pink Floyd di Division Bell, con i Lego, ecc.

Stando quindi lontani dal significato della ricerca di Hawking –di cui non ci permettiamo di dire ma rimandiamo invece a questa simpatica bustina di minerva di Umberto Eco – vogliamo ragionare sulla “epifanicità” del fisico britannico nel mondo e nel tempo di oggi. Capiamo quindi meglio il discorso sul martirio, sulla molteplice esposizione di un corpo martoriato e martirizzato, simile a ciò che successe a Giovanni Paolo II, con la paradossale differenza che dall’adorazione di un corpo martire che richiama a un culto del divino si passa alla forte considerazione di un corpo martire che ci chiama al culto del cervello.

Al di là del proprio ruolo di scienziato, Hawking è il protagonista di continue apparizioni che ce lo fanno immediatamente riconoscere. Brevi frammenti a comporre un tutto (che rende forse inutile il film “ufficiale”…) composto da piccole clip oggi facilmente recuperabili su Youtube, clip che possono creare un nostro film nella nostra mente. La capacità tecnologica di spezz(ett)are il segnale video e di moltiplicarlo contemporaneamente su una massa enorme di dispositivi induce a chiedere che senso abbia una sintesi, dato che ormai siamo noi stessi la sintesi.

Possiamo addirittura vedere in questo moltiplicarsi di videoframmenti una forma che chiameremmo “videofilia”, in netta contrapposizione con la precedente “cinefilia”: milioni di attimi videoregistrati che non vogliono essere realmente aggregati in una grande elegante narrazione, ma vogliono invece essere liberi di vivere come sono nella mente di chi li ricorda. Hawking riesce facilmente e involontariamente a essere uno degli eroi di questa nuova forma.

In tale “videofilia” pare compiersi la distinzione tra “screen” e “display” già spiegata benissimo da Francesco Casetti nel suo libro “La galassia Lumière”In una intervista del 2017 per Senses of Cinema Casetti afferma: “The difference between the screen and the display, in the end, is based on the fact that the screen was the place where captured reality appeared again. The display, by contrast, is the place where the flow of data stops for a moment in a certain kind of formation, offering some interpretation of the world. If the screen is connected with the logic of revelation, the display is connected with the logic of circulation and today, circulation is crucial.”

È interessante notare come il cortocircuito “Hawking” circoli moltiplicandosi di display in display, in forma di brevi pillole, anche decontestualizzate dal suo ambiente naturale, rispondendo pertanto alla forma rivelatrice propria dello schermo, che fa apparire qualcosa in modo forte, oltre la finzione, data la sua drammaticità reale, fissandosi immediatamente nel nostro cervello.

Pare quindi di essere veramente oltre alla grande narrazione propria del cinema del ‘900 e oltre alla cinefilia, grazie alla capacità di confrontarsi in modo attivo con una massa di video cui si dà un senso di insieme. Questa frammentazione è talmente presente da non essere più percepita, e si frequenta la sala cinematografica veramente come se si andasse a rinverdire i fasti di un culto datato, alla ricerca dell’esperienza più che dell’interpretazione.

L’arrivo dei nuovi Salone del Mobile e Design Week di Milano (su cui torneremo in modo esaustivo nel prossimo episodio) ci porta a vedere facilmente come ciò sia realtà, tanto da far apparire la kermesse attuale non solo come una fiera riguardo ai mobili e al loro design (con tutte le molteplici diramazioni che il design porta), ma anche come una “specie di” festival di cinema, in cui la narrazione è ormai del tutto frammentata, in cui il senso è completamente a nostro carico e in cui il cinema si manifesta come grande spirito permeante tutto, forte del suo passato che vanamente cerchiamo nelle sale ma che invece è totalmente intorno a noi.

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