ZEBRA CROSSING. Street Art in AR: il MAUA di Bepart

Durante i giorni della seconda Milano Digital Week, il Museo di Arte Urbana Aumentata ha ridisegnato la periferia attraverso la realtà virtuale del nostri smartphone

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La recente seconda edizione della Milano Digital Week ha riempito il centro della città con più di 500 eventi, stando attenta a non spingersi troppo oltre la circonvallazione esterna. L’evento ha voluto “aprire le porte ai cittadini per la diffusione di conoscenza e innovazione digitale”.

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Nella folta giungla di esperienze digitali siamo rimasti colpiti da una in particolare: la “visita” al MAUA.

MAUA sta per Museo di Arte Urbana Aumentata e ha come nodo focale la realtà aumentata (AR). Non si tratta di un museo fisico anzi vuole, al contrario e fortemente, essere itinerante, organizzato in modo tale da poter ammirare —come dicono gli stessi organizzatori— il bello nascosto che la strada, il quartiere e la città offrono.

Quando si parla di “bello” si intende qui principalmente la street art, di cui in periferia i nostri muri sono pieni, nascondendo forse in piena luce dei veri capolavori.

 

Infatti per arrivare a tale riscoperta Bepart, l’associazione dietro a MAUA, organizza itinerari da seguire proprio nelle zone periferiche, in netta contrapposizione, ci pare, con l’attenzione data al centro cittadino. Per l’occasione noi abbiamo potuto scoprire il bello nascosto nel “famigerato” quartiere del Corvetto, partendo da uno dei punti più lontani dallo sfavillante centro città, e cioè piazzale Ferrara.

 

Diciamo subito che Bepart è una cooperativa di impresa sociale creata da quattro persone (di cui noi abbiamo intervistato brevemente Joris Jaccarino) coadiuvati da un importante network di collaboratori. La cooperativa è tra le realtà vincitrici del “bando delle periferie” del Comune di Milano, varato per recuperare zone periferiche problematiche quali La Bovisa, Niguarda, il Gallaratese, Lorenteggio, Giambellino, via Padova e appunto il Corvetto.

L’idea vincente di Bepart è stata forse quella di porre l’attenzione sul possibile modo nuovo come la realtà aumentata per espandere la visione dei loro abitanti e portarla a un altro livello.

Nel progetto si uniscono vari spunti: il recupero delle periferie oltre il consueto bisogno di scapparne (soprattutto in un momento storico così attivo nell’incessante opera di rimozione del “povero” e di conseguente gentrificazione), l’attenzione verso la street art italiana (con tutti i suoi rimandi storici e i possibili sviluppi), la capacità di creare un museo urbano in continua trasformazione e per niente legato alle logiche museali che ricorrono usualmente nella nostra cultura. E infine l’uso della realtà aumentata, vero punto di svolta.

La realtà aumentata è il motivo per cui il progetto MAUA compie il reale salto.

Attualmente si stima una crescita del mercato di AR & VR (virtual reality) del 73% entro il 2025, per un fatturato mondiale intorno ai 770 miliardi di dollari per quell’epoca. Se anche abbiamo visto certezze economiche scalfirsi dopo la crisi dei sub-prime, e se anche i dati cambiano analista dopo analista, non si può negare che la tecnologia stia facendo passi da gigante verso la AR, anche attraverso viatici come la gamification tipo Pokemon Go (tuttora una delle app più scaricate al mondo).

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=eOujgbU94lQ]

Oggi siamo sempre più connessi, sempre più dentro a scenari già toccati dalla realtà aumentata, e spesso la usiamo già senza saperlo. Uno degli ostacoli per lo sviluppo di una tecnologia è notoriamente la facilità di utilizzo, e ad oggi la AR sconta ancora il ritardo del device (si pensi al fallimento dei Google glass). Tuttavia già una piccola realtà come Bepart per esempio riesce agilmente a dare in mano ai visitatori una app da scaricare sullo smartphone tramite cui vedere “di più”. Le soluzioni quindi non sono lontane. Se per “giocare” basta uno smartphone e un’applicazione, allora le distinte signore milanesi venute un pomeriggio di marzo in gita al Corvetto possono rendersi conto che il futuro non è più tanto futuro.

In tutto ciò è cruciale il concetto di mappatura.
Il lavoro fatto da Bepart sulle periferie milanesi o torinesi (la prossima inaugurazione del MAUA torinese sarà il 6 aprile, in zona Barriera) consiste nel mappare il territorio per riscoprirlo, guardarlo con nuovi occhi (e aiutare tali occhi a rinnovarsi, anche digitalmente -da qui la AR) usando poi tali mappe per capire e gustare il mondo intorno a noi. Questo metodo, dice Jaccarino, si può usare anche per mappe tecniche. La cosa più difficile diventa far capire ai clienti il valore innovativo della AR e la potenza del concetto di mappatura.

Ovviamente la mappatura è un lavoro lungo e complesso; solo per l’inaugurazione del MAUA torinese sono stati mappati in giro per Torino 300 murales che hanno portato a una selezione di 46, su cui poi lavorare per crearne la relativa AR in vari mesi di lavoro da parte di 57 animation designer.

Ma perché dobbiamo aumentare la realtà?

Se parliamo di creatività unita al mondo digitale la necessità artistica è sicuramente benzina sul fuoco. La AR però parte da un bisogno di informazioni che l’uomo ha sempre avuto e avrà sempre, come la necessità di sviluppo tecnologico. Il punto non è legato solo all’arte ma alla nostra umana incessante voglia di scoprire. Scoprire le periferie come fa Bepart col MAUA è un modo eccezionale di ampliare i propri orizzonti e di fare politica sul territorio dando nuove traiettorie a chi ci abita.

Jaccarino per primo ammette che l’uso che si può fare dello strumento AR può anche essere pericoloso ed è necessario saperlo maneggiare in modo onesto. Per esempio per Bepart è fondamentale la finalità etica. Per questo MAUA vuole sempre legarsi alle realtà della periferia in cui si innesta, cioè con chi promuove atteggiamenti di apertura e ha una visione differente di essa (da qui il lavoro col mercato comunale di Piazzale Ferrara al Corvetto).

Nondimeno il business preme moltissimo sulla AR. Si studiano incessantemente gli sviluppi che essa può avere in termini sia di pubblicità che di uso consumer. Dopo il tentativo di Google glass, e quello più riuscito degli Hololens da parte di Microsoft, altre aziende hanno iniziato a cavalcare l’onda di un prossimo “big bang” economico. Per esempio allo scorso GDC2019 di San Francisco Magic Leap ha presentato un paio di occhiali per AR. L’oggetto, seppur affascinante, costa ancora più di 2000 euro e necessita di un cavo attaccato a un hardware ancora troppo grande per essere portato in giro facilmente.

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=-PzeWxtOGzQ]

Onestamente pensiamo sia solo questione di tempo. Anche Jaccarino conferma che il nodo è ottenere una gestione della massa di dati utili alla AR più veloce e più fluida possibile, usando macchine più piccole e più performanti. Oppure, dice ancora Jaccarino, usare il Cloud come “periferia” di immagazzinamento grandi dati, utile per usare qualunque oggetto possa darci la AR sempre in modo fluido.

Grazie a questi miglioramenti, è probabile che tra breve anche i sobborghi delle metropoli potranno sognare le proprie pecore elettriche. Non ci resta che aspettare.

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