1° CINEMAVVENIRE VIDEO FESTIVAL – I vincitori

Si è conclusa il 12 Marzo a Roma la prima edizione del CinemAvvenire Video Festival. Un’edizione che ha trovato nella sua eterogeneità, fatta di video di diversi generi, durata e budget, allo stesso tempo un pregio e un difetto: il pregio di descrivere il variegato mondo delle video produzioni e il difetto di non riuscire a guadagnare una propria sicura identità

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Dopo una settimana intensa, con una media di otto proiezioni al giorno, tra cortometraggi e documentari, tra prime visioni e repliche, si è conclusa il 12 marzo la prima edizione del CinemAvvenire video festival. Un’edizione che ha trovato nella sua eterogeneità un pregio e un difetto nello stesso tempo: la direzione artistica di Sergio Di Lino ha accolto nel programma del concorso video di diverso genere (due le sezioni principali: Concorso internazione di cortometraggi e Internazionale doc “identità e diversità”), diversa durata (quasi mezzora per Ci vediamo presto, pochi minuti per La grande rasatura) e diversi budget (la confezione professionale di Sa promissa e lo zero budget di Buonanotte), esibendo in questo modo l’intenzione di dare spazio alle buone idee prima ancora che all’investimento economico occorso per trasformarle in film (non a caso è stato ritenuto opportuno assegnare delle menzioni per il contributo tecnico/artistico al soggetto). Questa scelta ha dato anche modo agli organizzatori di tentare di descrivere il variegato mondo delle video produzioni, italiane e straniere (più italiane che straniere a dire il vero), per come appare ai giorni nostri in cui a tutti quanti è data la possibilità di impugnare una videocamera (o una fotocamera, un telefonino etc.) e cimentarsi in un racconto per immagini. È però difetto nel momento in cui questa difformità impedisce al festival di guadagnare una propria sicura identità sia tecnica che “contenutistica”.

Tra i cortometraggi premiati, merita a nostro avviso segnalazione Sa promissa (premiato dalla giuria come miglior film) di Ilaria Godani e Giuliano Oppes: si respira la Sardegna non negli ambienti, tenuti quasi sempre sullo sfondo e sfocati, ma nei volti (il cortometraggio comincia con piani stretti sui volti e particolari di mani in preghiera) e nel linguaggio (che nella commistione tra dialetto sardo e italiano rivela le intenzioni, comuni a tanto cinema sardo contemporaneo, d’internazionalità senza il rifiuto delle proprie origini). La Sardegna non è protagonista del racconto, bensì comprimaria che offre al piccolo protagonista e allo spettatore la vastità di un panorama meraviglioso ma troppo grande da riempire senza la presenza di un padre. Per coinvolgere tanto lo spettatore sardo quanto quello di altre regioni, i due registi, sacrificando con una certa leggerezza la sceneggiatura, resistendo alla tentazione dell’abuso della tecnica (sono stati usati molte attrezzature: macchina su cavalletto, macchina a mano, steadycam) e forse rifacendosi al cinema di Giuseppe Tornatore, hanno indirizzato con successo i loro sforzi al raggiungimento dell’emozione.

Nella sezione documentari risulta particolarmente interessante l’opera di Gaetano Crivero I Love Benidorm in cui il regista riesce sapientemente ad accostare la denuncia sociale contro una spietata opera di urbanizzazione nello storico quartiere Cabanyal – riconosciuto nel 1993 come Bene di Interesse culturale – ad un racconto visivo più intimo che è costantemente ricercato nell’essenza dei luoghi filmati e nei volti degli abitanti del posto. Crivero organizza un racconto polifonico fatto di testimonianze che vanno a sovrapporsi alla suggestività delle immagini e della musica che le accompagna azzardando anche degli espedienti anti-retorici come ad esempio le radio accese sulle spiagge – sempre più invase dai turisti – che urlano al vento la loro denuncia contro il progetto di ristrutturazione del quartiere. Il documentario ha ricevuto una menzione al “miglior contributo tecnico-artistico per la fotografia e le musiche”. 

Altro interessante documentario è Cheyenne, trent’ anni di Michele Trentini. Il titolo del film suggerisce immediatamente la sua natura di ritratto personale. Maria Cheyenne Daprà, la protagonista, è una donna “ai margini” che ha scelto la natura e il contatto profondo con essa, rinunciando alla città, ai suoi rumori, ai suoi ritmi. È una giovane pastora che, grazie ad una convenzione con il comune di Val di Rabbi provvede alla cura e al mantenimento del paesaggio pascolando il suo gregge di pecore in totale autonomia e libertà. L’attenzione del regista si focalizza principalmente su due aspetti che danno forma e sostanza al documentario: le motivazioni che sono alla base di una scelta di vita che, agli occhi dei più, può apparire estrema e bizzarra e, contemporaneamente, un forte interesse nella ripetizione di gesti che rendono evidenti le competenze specifiche di un lavoro faticoso e impegnativo. Il documentario ha ricevuto una menzione per il “miglior soggetto”.

 

 I FILM PREMIATI:

 

Concorso internazionale cortometraggi:

– Premio al miglior film in concorso: Sa promissa di Ilaria Godani e Giuliano Oppes

– Premio alla migliore regia: Buonanotte di Riccardo Banfi

– Menzione per il migliore contributo tecnico/artistico al montaggio di È l’amore vero male di Vieri Brini ed Emanuele Policante

– Menzione per il migliore contributo tecnico/artistico al soggetto di Ci vediamo presto di Raffaele Manco

 

Internazionale doc “identità e diversità”:

– Premio “Il cerchio non è rotondo”. Cinema per la pace e la ricchezza della diversità al miglior film della sezione: Incolore di Fabrizio D’Agostino

– Premio alla migliore regia: Residuo fisso di Mirta Morrone

– Menzione per il migliore contributo tecnico/artistico alla fotografia e alle musiche di I love Benidorm di Gaetano Crivaro e Mario Romanazzi

– Menzione per il migliore contributo tecnico/artistico al soggetto di Cheyenne, trent’anni di Michele Trentini

 

 

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